“Il mio capolavoro” è un capolavoro

Presentato Fuori Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2018, il film argentino sarà in tutti i cinema da giovedì 24 gennaio

Elena
Elena Novelli
23 gennaio 2019 22:50

“Questa è un’opera dell’artista argentino Renzo Nervi, ma non chiedetevi quale sia il suo significato - commenta il VoiceOver della prima inquadratura del film sui colori caldi e vermigli di un immenso dipinto - l’arte non è una mera rappresentazione, ma può creare una sua propria realtà”. “Non pensate di essere voi a non capire, perché non c’è niente da capire - continua e conclude la voce fuoricampo - l’idea è quella di abbracciare l’esperienza che l’opera offre ai vostri sensi, e per farlo non c’è bisogno di essere degli esperti o dei professori”.

Un’opera insomma non va capita, va sentita. L’arte non deve essere spiegata, deve emozionare, così come la vita. È questo il Leitmotiv de “Il mio capolavoro”, che porta l’arte contemporanea al cinema non per celebrarla, ma per spiazzarci, e giocare con noi e con i personaggi, con le loro vite e con i loro tempi. Perché il gusto cambia, ci suggeriscono il regista Gaston Duprat (“Il cittadino illustre” nel 2016 e “L’artista” nel 2008) e lo sceneggiatore Andrés Duprat - non a caso direttore del Museo delle Belle Arti di Buenos Aires - che per la seconda volta collabora con il fratello. Per restare contemporanei dobbiamo allora adeguarci alla moda del momento e tradire la nostra arte? Ma se non restiamo fedeli a noi stessi, non tradiamo forse le nostre vite?

La commedia nera, a tratti un thriller, racconta la storia di un gallerista senza scrupoli di Buenos Aires, e di un pittore sul viale del tramonto. Due personalità agli antipodi: l’uno vive di pubbliche relazioni, mentre è il pessimo carattere a decretare la rovina dell’altro.

Ma proprio la loro diversità rende la coppia indissolubile, oltre che irresistibile. Perché tutti gli interrogativi esistenziali vengono risolti con gag memorabili e un umorismo che è esso stesso la filosofia di vita dei due amici Arturo Silva, impersonato da Guillermo Francella (“Il segreto dei suoi occhi” e “Il clan”), e Renzo Nervi, interpretato dal grande attore argentino Luis Brandoni.

Il film non è solo un buddy movie, anche se il duo di vecchietti non ha niente da invidiare né alla cattiveria di Jack Lemmon e Walter Matthau, né alla follia di John Belushi e Dan Aykroyd. E non ruota solo intorno al mondo dell’arte, anche se ne fa una satira feroce e dipinge di esso un ritratto senza pietà. Parla della vita, e della sua fine. Discute del senso della prima, e del non senso della seconda. Scherzando con entrambe, e chiudendo il discorso con la battuta di Renzo Nervi, che alla domanda dell’amico su cosa pensi della morte risponde: “Io la contesto!”.

Nei dialoghi crudi, e nei modi spicci dei due, questa commedia ci riporta a tratti alla letteratura gauchesca, nata a fine ‘800 come prodotto del sentimento di identità nazionale, che ritroviamo nell’amore del gallerista Silva per Buenos Aires, e nei paesaggi mozzafiato della provincia argentina di Juju, che il regista ci regala.

Ma questo film parla anche di denaro, fine o mezzo delle nostre esistenze, e del lavoro che scegliamo, o che sceglie noi, suggerisce il saggio-pazzo pittore Renzo Nervi. È lecito ingannare? Ci si chiede a un certo punto. Ma, soprattutto, qual è il valore dell’onestà? Parola così usata e abusata di questi tempi, su cui gli spettatori avranno modo di riflettere.

L’omologazione è il solo modo per poter sopravvivere, sembra gridare la pellicola, chiedendo il conto delle risate fatte fino a quel momento. Ma è tra le lacrime che ci stupisce, e che ci insegna che la vita va attraversata non seguendo le regole ma le emozioni, così come una mostra d’arte non va visitata con l’audio-guida, ma fidandosi delle nostre sensazioni.

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