Ieri sera l’Abisso di Davide Enia al Teatro Romano di Fiesole

Alla 73^ Estate Fiesolana lo spettacolo sui migranti a Lampedusa, che ha vinto il Premio Maschere 2019 per il miglior interprete di monologo

Nicola
Nicola Novelli
17 luglio 2020 08:09
Ieri sera l’Abisso di Davide Enia al Teatro Romano di Fiesole

FIRENZE- Mimmo Cuticchio sostiene che sono necessari alcuni minuti, all’inizio dello spettacolo, per far ambientare gli spettatori in teatro, per assuefarli al ritmo affabulatorio del cuntista. Davide Enia no. Parte subito con il racconto, come se dovesse trasbordare il pubblico su una motovedetta per lanciarla in mare aperto e andare a salvare a tutta velocità un’imbarcazione di naufraghi.

Per il resto, l’Abisso che Davide Enia ha portato ieri sera alla 73^ Estate Fiesolana assomiglia tanto a una moderna trasfigurazione dell'Opera dei Pupi. Ma mentre il suo concittadino palermitano racconta le gesta eroiche dei paladini del ciclo carolingio, in armi per proteggere l’Europa dall’invasione continentale, Enia a rovescio, racconta dei disarmati eroi contemporanei, che nella “pacifica” Europa di oggi sono vittime e testimoni delle grandi contraddizioni della nostra epoca. Sono loro i protagonisti di questa guerra non dichiarata, combattuta sulle acque del Mediterraneo per salvare le vite dei migranti, di chi affronta la traversata tra le due sponde, senza la certezza di raggiungere la meta.

Il monologo è costruito con una sequenza di quadri, su un doppio binario narrativo, in prima persona, grazie all'esperienza dello scrittore a Lampedusa, sin dal primo viaggio di conoscenza, e in terza persona grazie alla testimonianza di amici residenti e operatori umanitari, che regalano all’autore sprazzi delle intense emozioni vissute. A cucire, a rammendare i traumi tra le due sponde, la sofferta esperienza di malattia dello zio di Davide Enia e il difficile rapporto con il padre, in contemporanea con la testimonianza dei lutti dei migranti, con il loro indicibile bagaglio di soprusi e violenze subiti.

Lo spettacolo è tratto dal romanzo “Appunti per un naufragio” (Sellerio). Debuttato nell’ottobre 2018 al Teatro India di Roma, ha vinto il Premio Hystrio Twister come “migliore spettacolo della Stagione”, il Premio Le Maschere del Teatro italiano come “migliore interprete di monologo” e il Premio UBU come “migliore nuovo testo italiano” 2019.

Colonna portante, naturalmente, la parola, la più antica forma di trasmissione della memoria e delle emozioni umane. Una parola che fa fatica, che inciampa, che pare alle volte sprofondare nell’abisso dei gorghi marini, trascinata giù dai mille cadaveri degli uomini, delle donne, dei bambini divorati dal mare negli ultimi decenni. Come naufragano nel silenzio le memorie traumatiche dei testimoni, di chi ha assistito impotente alla tragica migrazione che collega le propaggini italiche al terzo mondo.

La metrica è quella dei cantastorie siciliani, che scandisce il lampeggiare di visioni in soggettiva, quasi fosse un documentario televisivo, accompagnate dalla musica della chitarra di Giulio Barocchieri, che correda il racconto scenico di Davide Enia con una sorta di colonna sonora cinematografica.

Enia parla, narra, alterna italiano a intonazioni dialettali, canta talvolta, in quel che assomiglia al baccagghiu che i cantastorie usavano per mascherare i contenuti più eversivi. E la memoria dell’indicibile riemerge, quasi facesse capolino, naufraga nel saliscendi delle onde in tempesta. “La vedo, non la vedo, eccola, ora l’acciuffo, per scaraventarla con un colpo di reni sul ponte della motovedetta e metterla in salvo”, griderebbe uno dei rescue diver immortalati a cavallo dell’Abisso.

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