Andersen 2014: nemmeno la fiaba salva un teatro in crisi

Al Fabbricone di Prato

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
09 marzo 2014 23:10
Andersen 2014: nemmeno la fiaba salva un teatro in crisi

PRATO- Convince a metà, Andersen 2014. Fiabe che non sono favole, visto ieri sera al Teatro Fabbricone, per la regia di Emanuela Ponzano. L’idea di partenza è buona, riflettere sulle fiabe e su quella che ancora oggi può essere la loro validità; riflettere su come avrebbero potuto essere, certe fiabe, se scritte in questi anni, dove la società contemporanea, oberata dalla tecnologia, dall’ignoranza, dalla malvagità, sta perdendo sempre più la capacità di sognare. Un moderno Andersen, disilluso sull’utilità delle fiabe, in lotta con la propria coscienza, prende la decisione di cessare la sua attività di scrittore.

E sulla scena, si assiste a brevi quadri che s’interrogano su cosa siano divenute oggi le fiabe, attraverso la rilettura di alcune fra le più celebri, quali Il Re nudo, Il brutto anatroccolo, Il soldatino di stagno, La Piccola Fiammiferaia. Una pièce che di per sé è una fiaba sulla disillusione, ma anche un’elegia di quel mondo fantastico che non trova più spazio in una società contemporanea dominata dalle illusioni del denaro e del potere. Ad aver distrutta la fantasia, sembra dirci il regista, sono stati l’odio razziale, la guerra, lo sfruttamento dei più deboli, dei più poveri, degli ultimi.

Proprio questi sono i personaggi delle fiabe contemporanee: bambini-soldato, immigrati, prostitute, persone cui le avversità dell’esistenza hanno tolto ogni difesa, e che si trovano a dover lottare ogni giorno per una sopravvivenza che non è scontata. Fra le poche note positive dello spettacolo, Yamila Suarez, che nella parte della Piccola Fiammiferaia, dà voce con efficacia alle sofferenze di chi è più vulnerabile e ha perso tutto, ovvero i bambini vittime della guerra, dei maltrattamenti familiari, e sfruttati da trafficanti e criminali senza scrupoli.

Ugualmente interessante, la rilettura della ballerina di cera - compagna del celeberrimo soldatino di stagno -, alla stregua di una moderna ragazzina decisa a tutto pur di sfondare nel mondo dello show-business, anche a vendere il proprio corpo. Molto meno convincente il ritratto del soldatino di stagno, paragonato a un militare italiano in missione in Afghanistan; un paragone poco rispettoso del valore dell’Esercito, sintomo di una vena polemica antimilitarista ormai logora e troppo sporca di retorica per essere presa sul serio.

Lo stesso dicasi per la rilettura del Re nudo: naturale, per l’Italia contemporanea, riconoscere personaggi del genere nei protagonisti della politica italiana; non è invece intellettualmente onesto leggere la demagogia populista come propria soltanto di una sola corrente politica. I magnati televisivi prestati al Parlamento possono certo far gridare allo scandalo, ma forse certe volte sarebbe onesto ricordare i tanti comunisti con lo yacht, non meno nudi dei primi. Per cui, la validità dello spettacolo diminuisce fortemente in conseguenza della poca obiettività critica. A questa, si aggiunge una regia a tratti improvvisata, che si impantana in infantili scenette, smorfie, capriole, (come quelle relative al personaggio di Andersen, interpretato da un imbarazzante Giacinto Palmarini), che ricordano da vicino le noiose “invenzioni” di Calvani e Morganti, viste la scorsa stagione al Fabbricone; recitazioni non accurate, una dizione trascurata, e un atteggiamento adolescenziale fuori luogo.

Analogie della drammaturgia contemporanea italiana, che ne rivelano la scarsa qualità generale. In particolare, lo spettacolo diretto da Emanuela Ponzano, offre, a livello attoriale, una recitazione troppe volte forzata, con un eccessivo, ridicolo ricorso alla mimica facciale, non contribuisce alla godibilità di uno spettacolo fondamentalmente poco originale, sia da un punto di vista artistico sia da un punto di vista intellettuale. La drammaturgia contemporanea continua ad arrancare, e, forse involontariamente, lo spettacolo ottiene ragione laddove punta il dito contro la crescente difficoltà dell’uomo contemporaneo di sognare.

Una capacità indispensabile per fare del buon teatro. Spente le luci di scena, applausi di circostanza per uno spettacolo sicuramente dalle buone intenzioni, ma intellettualmente e artisticamente modesto. di Niccolò Lucarelli

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