Partecipazione: i primi orientamenti per il testo legislativo

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
31 marzo 2007 21:26
Partecipazione: i primi orientamenti per il testo legislativo

Martedì scorso la discussione in consiglio regionale sul documento preliminare sulla partecipazione. L'Assessore Agostino Fragai ha accompagnato la sua relazione in Consiglio con un Documento preliminare.


Di seguito il testo integrale dei Primi orientamenti per il testo legislativo

Come ricordato, nei mesi scorsi il confronto sui possibili contenuti della legge ha vissuto numerosi e significativi momenti di approfondimento.
In particolare, gli orientamenti emersi dal Town Meeting hanno rappresentato un positivo e significativo contributo e hanno fornito indicazioni di merito che saranno assunti nella stesura del progetto di legge.

Ciò vale soprattutto per quanto riguarda:
la definizione delle modalità attraverso cui la Regione può dare un sostegno ai processi partecipativi (non solo e non tanto attraverso la mera erogazione di risorse finanziarie, ma attraverso un’attenzione prevalente agli aspetti organizzativi e metodologici, comunicativi, informativi e formativi);
la necessità che la legge preveda processi partecipativi strutturati per fasi, scanditi attraverso tempi e metodologie ben definite;
l’apertura e l’inclusività dei processi partecipativi, prevedendo un sostegno non solo ed esclusivamente ai processi promossi dalle istituzioni, ma anche a quelli promossi e avviati dai soggetti sociali, nella loro autonomia;
la possibilità che siano istituiti organismi esterni e indipendenti alle amministrazioni regionale e locali, per garantire la “terzietà” delle procedure partecipative e che siano previsti, in certi casi, procedure vincolanti di attivazione della partecipazione;

In questo documento ci proponiamo di offrire alcuni primi orientamenti preliminari, sui quali la discussione potrà proseguire in modo più stringente, nel Consiglio Regionale e all’interno dei tavoli di concertazione istituzionale e sociale.

Proponiamo inoltre che lo stesso Consiglio Regionale, nella sua autonomia e nelle forme che riterrà più opportune, promuova un allargamento delle sedi e dei momenti di confronto pubblico e di ascolto.
Gli orientamenti qui di seguito espressi riprendono anche, in larga misura, il già citato “contributo alla stesura di una legge sulla partecipazione” elaborato da un gruppo di lavoro della Rete Nuovo Municipio.

Oggetto e finalità: , come già ricordato nella prima parte di questo documento, la legge non potrà non richiamare esplicitamente, come propria e primaria “fonte” normativa, gli articoli dello Statuto della Regione Toscana che riguardano la partecipazione dei cittadini “alle scelte politiche regionali” (art.

3 e art. 72), proponendosi, come oggetto, quello di promuovere e favorire la realizzazione di esperienze, percorsi e pratiche di partecipazione democratica all’interno dei processi decisionali e delle politiche pubbliche, sia locali che regionali; e assumendo, come finalità generale, quella di affermare la partecipazione come forma ordinaria di governo in tutti i settori e a tutti i livelli amministrativi.
Possono essere inoltre richiamati le fonti europee e le dichiarazioni internazionali che, negli ultimi anni, hanno introdotto con sempre maggiore evidenza il principio della partecipazione attiva dei cittadini come momento costitutivo del processo di costruzione, definizione e attuazione delle politiche pubbliche.
E’anche possibile una più dettagliata formulazione dei principi cui la legge intende ispirarsi e degli obiettivi che intende perseguire,

a) l’allargamento dei soggetti sociali coinvolti nei processi decisionali, secondo il principio della massima inclusività, in particolare nei confronti dei soggetti più deboli, degli interessi diffusi privi di rappresentanza collettiva, dei residenti (e non solo dei cittadini);
b) il riconoscimento e la diffusione dei diritti e delle diverse forme di cittadinanza attiva;
c) il rafforzamento della coesione sociale; la crescita e la diffusione di una cultura della partecipazione e delle forme di impegno civico; la crescita delle capacità di ogni comunità locale nel conoscere e “padroneggiare” i problemi e le logiche di sviluppo che investono la realtà in cui vivono;
d) la valorizzazione dei saperi diffusi nella società civile e la promozione delle diverse forme di auto-organizzazione e di autogoverno della società civile stessa, secondo il principio di sussidiarietà orizzontale, previsto dall’art.

118 della Costituzione.
e) la continuità delle pratiche partecipative, ovvero l’affermarsi della partecipazione come principio ordinario e regolare del processo di costruzione delle decisioni collettive (e non come momento saltuario od occasionale).

E, dunque, riprendendo il già citato “contributo” del gruppo di lavoro promosso dalla Rete Nuovo Municipio, la partecipazione è intesa
come strumento per rinnovare la democrazia e le sue istituzioni, integrandola con pratiche, processi e strumenti di democrazia partecipativa;
come processo decisionale inclusivo e come strumento per migliorare la qualità dei progetti di trasformazione e tutela attiva dei beni storico-culturali e delle risorse territoriali-ambientali e, più in generale, delle relazioni sociali e dell’ambiente di vita delle persone;
come strumento di riconoscimento ed espansione dei diritti e delle diverse forme di cittadinanza attiva, che rende l’azione di governo più coerente con le differenze e i bisogni di genere, con le diverse identità sessuali, di età e di provenienza culturale delle persone;
come strumento per valorizzare i saperi, le competenze e l’impegno diffusi nella società civile, per favorirne la visibilità e la condivisione sociale;
come strumento per rafforzare la coesione sociale e il consenso sulle azioni da intraprendere e per attivare pratiche di trasformazione promosse e gestite dal basso, creando le condizioni per tutti/e di accedere ai processi decisionali, […]
come strumento per definire le tappe e i requisiti dei processi partecipativi, i tempi delle analisi dei problemi e dello studio delle soluzioni, dell’impegno chiesto ai cittadini e alle cittadine e degli impegni presi dalle amministrazioni negli istituti della partecipazione (assemblee, gruppi di studio, rappresentanze, facilitazione, monitoraggio e valutazione delle esperienze e dei processi, gestione del ciclo della progettazione e pianificazione partecipata, informazione e comunicazione, documentazione, divulgazione delle buone pratiche, pubblicazione di materiali utili ai processi.”

Si può poi articolare il dispositivo legislativo in due grandi capitoli o “titoli”:
Ø la previsione di procedure partecipative per le politiche regionali
Ø la regolamentazione dei processi partecipativi su scala locale

A) Le procedure partecipative per le politiche regionali

Come ricordato sopra, in moltissimi ambiti delle politiche regionali sono già previste pratiche e procedure partecipative; inoltre, appare oramai consolidata e codificata, in Toscana, un’esperienza di concertazione sociale e istituzionale che vede una pluralità di soggetti, e di rappresentanze collettive degli interessi, intervenire all’interno dei percorsi decisionali.

Si pone dunque, con particolare delicatezza, il problema delle forme con cui raccordare tale insieme di norme e procedure con i processi partecipativi ipotizzati dalla nuova legge. Se, da un lato, non è pensabile che una legge regionale sulla partecipazione non incida anche sulle modalità con cui attivare meccanismi partecipativi sulle stesse politiche regionali, d’altro lato non sfugge a nessuno che tali politiche regionali (per le funzioni stesse di tipo essenzialmente programmatorio e legislativo con cui opera una Regione) presentano caratteristiche diverse da quelle proprie di politiche e decisioni pubbliche che agiscono su scala locale.

Inoltre, molte metodologie innovative di partecipazione sono state intrinsecamente pensate soprattutto per coinvolgere e attivare comunità locali di ridotte dimensioni.
E pur tuttavia, è evidente che sono proprie molte scelte politiche rilevanti per l’intero territorio regionale quelle su cui la Regione è chiamata a decidere e a esprimere un proprio orientamento e che sono, molto spesso, proprio queste scelte a richiamare e sollecitare l’interesse di una vasta opinione pubblica, e a produrre anche momenti e occasioni di confronto acceso, di polemica e di discussione.

Scelte, quindi, su cui la partecipazione critica e consapevole dei cittadini appare, in ogni caso, un fattore positivo di crescita della comunità regionale: come già ricordato in premessa, discutere apertamente, e anche polemicamente, sulle grandi scelte politiche di rilevanza generale rappresenta comunque un fattore di dinamicità, di accresciuta consapevolezza collettiva, di cui la società toscana ha fortemente bisogno, se vuole affrontare con successo le sfide con cui oggi essa è chiamata a misurarsi.

La necessità di costruire un raccordo tra norme e procedure già previste dalla legislazione regionale e i nuovi percorsi partecipativi promossi dalla nuova legge regionale è stata ben presente nella fase di dibattito e di confronto svoltasi nei mesi scorsi.


Il modello istituzionale a cui è possibile ispirarsi può prevedere, per un verso, l’integrale mantenimento della validità di tutte le procedure di informazione, consultazione, partecipazione e concertazione che (a vario grado e titolo) sono già presenti nella legislazione regionale, come procedure ordinarie di elaborazione e costruzione di una politica regionale; e, per altro verso, la possibilità di attivazione di procedure e fasi ulteriori di dibattito pubblico su temi di particolare rilevanza politica regionale.


Per quanto riguarda il primo aspetto (procedure ordinarie), la legge, potrà prevedere, o indicare le modalità di previsione, di una percentuale fissa, all’interno del budget di un piano o progetto o di una legge regionale, da destinare alla informazione, alla comunicazione e alla promozione della partecipazione, indicando meccanismi di monitoraggio e “certificazione” della “qualità partecipativa” dei programmi o dei piani della Regione.
Per quanto riguarda il secondo aspetto, ovvero l’attivazione di procedure e fasi ulteriori di dibattito pubblico, la legge dovrebbe prevedere che, su esplicita richiesta della Giunta Regionale, o sulla base di procedure automatiche definite dalla legge stessa (secondo parametri obiettivi che rendano obbligatoria l’attivazione di un percorso partecipativo), sia avviato un processo partecipativo secondo i principi sopra enunciati (inclusività, parità nell’accesso e nella disponibilità delle informazioni, ecc.) e secondo modalità rigorosamente definite (regole del dibattito, tempi e modi di svolgimento della discussione, individuazione delle metodologie partecipative più opportune, ecc.), su temi all’ordine del giorno nell’agenda di governo della Regione.

Spetterebbe comunque alla Regione o all’organo indipendente eventualmente istituito (o all’una e all’altro insieme, con compiti diversi e in fasi distinte), l’organizzazione del Dibattito Pubblico Regionale (potrebbe essere questa la formula con cui definire questo tipo di percorso partecipativo), il monitoraggio sulle modalità di svolgimento del percorso, il controllo sul rispetto dei principi previsti dalla legge. Nella definizione più dettagliata di questi aspetti, particolare rilevanza può assumere il riferimento alle norme e alle procedure previste dalla legislazione in vigore e all’esperienza condotta in Francia dalla Commission Nationale du Dèbat Public.
Altro punto che la legge dovrà affrontare è quello degli ambiti sui quali sarà possibile attivare un percorso partecipativo.

E’ possibile ipotizzare anche che la Regione, come si scrive nel citato Contributo della Rete Nuovo Municipio, si impegni ad “applicare la partecipazione alle politiche e alle materie di propria competenza, individuando in una prima fase settori particolari di sperimentazione”, -- quali, ad esempio, le grandi scelte in materia di gestione e governo del territorio, le scelte di politica ambientale, i piani sociali e sanitari, i servizi pubblici locali, ecc. Nell’individuazione dei settori e delle politiche regionali sui quali sarà possibile attivare le procedure previste dalla legge, sarà necessario introdurre una chiara delimitazione degli oggetti di effettivo interesse generale e regionale, -- ad esempio, i grandi interventi infrastrutturali - sui quali attivare le procedure di dibattito e partecipazione.

La Regione, ad esempio, come si scrive ancora nel Contributo della Rete Nuovo Municipio, potrebbe impegnarsi a “stilare annualmente un elenco delle opere di interesse sovra-locale da sottoporre a dibattito pubblico (sentiti i Comuni e su richiesta dei cittadini e delle cittadine, secondo regole da definire)”.

B) La partecipazione su scala locale

Promozione e diffusione dei processi partecipativi locali.
La legge dovrà contenere le norme attraverso cui la Regione si propone di sostenere gli enti locali che intendano promuovere processi di partecipazione democratica relativi a scelte e decisioni di loro competenza; e, nello stesso tempo, sollecitare l’adozione di questo approccio, premiando e incentivando le “buone pratiche”.
Si può ipotizzare la definizione di una procedura standard, con cui gli enti locali, in maniera singola o associata, presentano alla Regione un progetto specifico di attivazione di un percorso partecipativo.

La richiesta può essere corredata dall’adesione di singoli cittadini, associazioni, forze sociali organizzate, e dovrà indicare
a) l’oggetto della decisione
b) lo stato di avanzamento, nelle sedi istituzionali proprie, del processo decisionale in questione
c) gli istituti, le metodologie e gli strumenti di partecipazione che si ritiene più opportuno adottare
d) i tempi e la durata del processo partecipativo

La legge, raccogliendo in tal modo una indicazione emersa dal Town meeting, dovrà prevedere i casi in cui i cittadini e le cittadine possono richiedere l’apertura e l’attivazione di un processo partecipativo locale, i criteri con cui la Regione, o l’ organo indipendente eventualmente istituito, dovrà valutare e rispondere a tale richiesta, le procedure da seguire nei casi in cui il livello istituzionale competente ritenesse di non dover dare corso alla richiesta stessa.

La legge dovrebbe poi fissare i criteri e le modalità attraverso cui la Regione valuta i progetti locali presentati e decide sulla sussistenza o meno delle condizioni necessarie alla concessione del proprio sostegno (tecnico-organizzativo e/o finanziario) al progetto locale.

Si delinea qui una prima, rilevante alternativa su cui il percorso di consultazione e concertazione dovrà esprimersi: ossia, quale debba essere l’organo chiamato a valutare i progetti locali e decidere sulla loro ammissione al sostegno regionale.

Le ipotesi in campo sono almeno due:
a) che a decidere siano le strutture tecniche della Regione, sulla base dei requisiti vincolanti previsti dalla legge, e quindi con un basso grado di discrezionalità; o
b) che sia prevista la costituzione di un organo “terzo” o indipendente (che potremmo chiamare “Collegio di garanzia regionale sui processi partecipativi”), al quale demandare la valutazione e la selezione dei progetti, sulla base dei requisiti previsti dalla legge.
Si può anche ipotizzare una soluzione intermedia: ossia, che i compiti di istruttoria, valutazione e decisione siano affidati alle strutture della Regione, ma che sia costituito anche un organo caratterizzato da terzietà e neutralità, con compiti esclusivi di controllo sulla correttezza delle procedure adottate o compiti di arbitrato in caso di contenzioso.


In ogni caso, un problema di selezione si pone, e con esso l’esigenza di una definizione rigorosa dei requisiti di ammissibilità di un progetto locale, per la ovvia ragione che appare comunque prevedibile una condizione di scarsità e limitatezza delle risorse (umane, organizzative e finanziarie) disponibili a fronte delle richieste avanzate.
Inoltre, nella definizione dei compiti, della natura, e delle modalità stesse di costituzione, di un organo di garanzia o di controllo, si può ipotizzare un particolare ruolo del Consiglio Regionale.

Tra i requisiti che comunque, -- quale che sia la procedura adottata e la sede o l’organo chiamato a decidere – dovranno caratterizzare la richiesta di attivazione di un processo partecipativo locale, se ne possono indicare almeno tre fondamentali
lo stadio di discussione e approvazione di una decisione negli organi istituzionali deputati: perché un processo partecipativo possa rivelarsi utile ed efficace, e contribuire sin dall’inizio alla costruzione di una decisione, occorre che esso si avvii in una fase in cui sia ancora possibile valutare tutte le opzioni in campo, senza limitare nei fatti l’ampiezza del confronto partecipativo e la possibilità che esso incida concretamente nel merito delle questioni aperte.


la congruità delle metodologie partecipative proposte;
la corrispondenza ai criteri della massima inclusività, della trasparenza nell’informazione e delle pari opportunità nell’accesso a tale informazione.

Proprio sulla base delle caratteristiche molto varie che i processi partecipativi possono assumere, si ritiene inopportuno che la legge prescriva le metodologie e gli strumenti attraverso cui un soggetto locale può attivare un percorso partecipativo. La legge deve però indicare i principi a cui tale percorso si deve attenere:
inclusività;
rappresentatività, da intendersi in termini qualitativi, e non solo e non tanto quantitativi: ossia, è necessario che tutti i punti di vista e gli interessi in gioco abbiano modo di esprimersi e pari opportunità nel farlo;
trasparenza e pari opportunità di accesso alle informazioni e alla documentazione;
stipula e condivisione preliminare delle regole della discussione e del confronto;
definizione rigorosa dei tempi e delle modalità di svolgimento del dibattito pubblico.
Al rispetto di tali principi si dovrà ispirare la valutazione degli organi chiamati a decidere sul sostegno regionale ad un’iniziativa locale, lasciando ai soggetti proponenti la scelta delle tecniche e delle procedure partecipative più adatte ai casi specifici.

Sostegno alle autonome iniziative partecipative della società civile.
La legge dovrà prevedere i criteri e le modalità di sostegno attraverso cui la Regione favorisce processi e progetti promossi autonomamente dalla società civile e dalle sue forme associative.

Non appare infatti opportuno che il sostegno regionale sia rivolto solo ai progetti promossi dagli enti locali: esistono molti ambiti e terreni di iniziativa in cui forme autonome di organizzazione e partecipazione della società civile possono svolgere un ruolo significativo, coerente con le finalità e gli obiettivi generali della legge. Anche per questi casi, naturalmente, si porrà un problema di selettività, e quindi di rigorosa definizione dei criteri di ammissione e delle modalità attraverso cui il sostegno regionale si può concretizzare.

Risorse e strumenti della Regione a sostegno dei processi partecipativi.

La legge potrà indicare criteri e norme attraverso cui la Regione fornisce il proprio sostegno ai processi partecipativi locali. Tra questi criteri e queste norme si possono indicare:

la definizione di un programma annuale di formazione (destinato a: amministratori e funzionari locali, strutture e organi del decentramento amministrativo, associazioni, esperti e operatori locali, mondo della scuola, ecc.), finalizzato alla creazione di una coerente “cultura partecipativa” all’interno della pubblica amministrazione, alla diffusione e alla conoscenza delle metodologie partecipative e delle tecniche di ascolto e di dialogo tra la pubblica amministrazione e i cittadini.

Un’attenzione particolare dovrà essere rivolta ai giovani e ai modi con cui favorire il formarsi e il diffondersi di una “cultura civica” tra le nuove generazioni.

indicazioni sui compiti degli uffici regionali nell’offerta di supporti tecnici e organizzativi ai soggetti locali che promuovano processi partecipativi, e in particolare:
o A) i compiti e le funzioni della Rete Telematica della Regione Toscana e il ruolo di supporto che possono svolgere le nuove tecnologie informatiche della comunicazione (PAAS, sito internet, ecc.), finalizzati alla creazione di reti e strumenti di informazione e comunicazione;
o B) le modalità di assistenza metodologica e i supporti organizzativi da offrire ai soggetti locali;
o C) il ruolo di coordinamento e di integrazione delle esperienze locali; il monitoraggio sui processi partecipativi locali;
o D) diffusione della documentazione e della conoscenza sulle esperienze locali.

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