La Centrale del latte di Firenze nata dalla lungimiranza del sindaco più amato dai fiorentini
La privatizzazione di Mukki Latte voluta dalla giunta comunale di Firenze avrebbe favorito la Parmalat?

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
08 gennaio 2004 13:35
La Centrale del latte di Firenze nata dalla lungimiranza del sindaco più amato dai fiorentini<BR>La privatizzazione di Mukki Latte voluta dalla giunta comunale di Firenze avrebbe favorito la Parmalat?

"Se Firenze e la Toscana vantano una centrale del latte solida ed in grado di offrire prodotti di qualità e di provenienza certa lo si deve alla lungimiranza di Giorgio La Pira, il sindaco del dopoguerra più amato dai fiorentini, che ricorderemo in un volume dedicato ai cinquanta anni di vita della Mukki>>. Con queste parole Franco Cervelin, presidente della Centrale del latte di Firenze Pistoia e Livorno anticipa il percorso di celebrazioni per il “compleanno” della Mukki, la storia della quale è intrecciata con quella di Giorgio La Pira e dei suoi stretti collaboratori.

Le azioni di costoro furono determinanti per garantire al capoluogo toscano prima e a tutta la regione poi una struttura di lavorazione del latte fresco prodotto negli allevamenti del Mugello e di tutta la Toscana.
Le scelte di allora sono state messe a frutto tanto che oggi la Mukki è una delle maggiori aziende agroindustriali della Toscana, con circa 100 milioni di euro all’anno di fatturato ed un piano industriale di razionalizzazione e potenziamento che vede nella realizzazione del nuovo stabilimento da 31 milioni di euro un momento strategico per la filiera regionale del latte.

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Perché la giunta di centro-sinistra di Firenze aveva pianificato la vendita della Mukki, azienda pubblica che crea ricchezza, vendita decisa contro il parere della opinione pubblica, e perché aveva deciso di venderla – almeno in parte – ad oligopolisti del latte? Con il 10% Parmalat, anche se non è in posizione dominante, è inevitabilmente in una posizione determinante, capace cioè di determinare, da sola, l'andamento dei prezzi e del mercato.

Un suo prezzo, fissato anche a pochi centesimi in più o in meno, spostava e sposta quote di vendita e di distribuzione immense. La sua capacità di trattare con grandi magazzini, piccoli esercizi, esercenti e fornitori aziendali ha una forza che non trova certo le piccole produzioni locali nelle stesse facoltà.
C'è, o ci sarebbe, un modo sano, moderno, onesto, non lesivo nei confronti di allevatori e consumatori, di immaginare una industria del latte e derivati diversa? Sì, c'è, ed è il sistema basato sulle centrali del latte locali.
Una centrale del latte, per sua stessa natura, è piccola al punto da non potersi permettere grandi immagazzinamenti, e tende, per sua stessa costituzione, a smerciare quanto più prodotto fresco possibile.
Ciò provoca un assestamento costante e di facile previsione del volume di latte prodotto: infatti, servendo una determinata zona, e solo quella, è preventivamente possibile calcolare, più o meno, quanto stoccare, quanto smerciare, quanto trasformare in derivati, senza pericolo di sbagliare.
Questo è anche uno dei motivi per il quale i soci di una centrale non incorrono nella sovrapproduzione e nelle conseguenti sanzioni comunitarie dovute al sistema delle “quote latte”, sistema criticabile o meno ma che, per colpa di poche migliaia di disonesti, rischia di essere pagato da tutta la comunità.

Perché la giunta di centro-sinistra di Firenze aveva (ha) pianificato la vendita della Mukki, azienda pubblica che crea ricchezza, vendita decisa contro il parere della opinione pubblica, e perché aveva deciso di venderla – almeno in parte – ad uno degli oligopolisti di cui sopra?
E, in ultimo, perché aveva deciso tale compratore fosse, oihbò, proprio Parmalat? Certo, nessuno, tantomeno la giunta di centrosinistra di Firenze, era tenuta in tempi non sospetti (ma sono mai esistiti?) a diffidare di Tanzi and Co., ma il concetto di concentrazione in grandi multinazionali dei mezzi di produzione e dei prodotti tipici locali suona stonato, stonatissimo, nella città che del newglobalismo ha fatto bandiera
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