Teatro della Pergola: da lunedì 3 a mercoledì 5 febbraio Erica Blanc e Gabriele Ferzetti in un testo di Gabriele d’Annunzio

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
31 gennaio 2003 12:38
Teatro della Pergola: da lunedì 3 a mercoledì 5 febbraio Erica Blanc e Gabriele Ferzetti in un testo di Gabriele d’Annunzio

In una piazza di Tocco a Casauria si presentò a d'Annunzio e a Francesco Paolo Michetti, suo amico pittore, una scena toccante: "videro irrompere una donna urlante, scarmigliata, giovane e formosa, inseguita da una torma di mietitori, imbestialiti dal sole, dal vino e dalla "lussuria". Michetti fermò l'attimo nella sua grandiosa tela La figlia di Jorio (1895) e d'Annunzio scrisse il dramma teatrale omonimo. La tragedia in tre atti ispirata anche dalla passione per i drammi popolari della propria terra, l'Abruzzo, viene pubblicata e rappresentata per la prima volta nel 1904.

Narra la storia di Mila, figlia del mago Iorio di Codra, figura fuorviante, che sovverte sempre le regole perché non le appartengono e non le conosce e dunque tragicamente destinata a portare disordine e lutto nelle famiglie di uno sperduto paese d’Abruzzo. Comparsa improvvisamente nella casa del pastore Aligi, che se ne innamora ricambiato, diventa la causa involontaria di un parricidio. Quando infatti Aligi scopre che suo padre Lazaro tenta di violentarla, accecato dall'ira lo uccide. Per questo viene condannato al rogo, ma Mila, che nel rapporto col giovane pastore ha capito e deciso di riscattare il proprio passato, in un supremo gesto di purificazione si autoaccusa dell’omicidio e si sacrifica, sostituendosi all’amato.


La messa in scena dello spettacolo scandisce in sei tappe i momenti culminanti nello sviluppo della tragedia: il presentimento di Aligi, la visione dell’angelo muto, che segna l’inizio dell’innamoramento di Aligi per Mila, l’arrivo dei mietitori, l’ultimo bacio tra Mila e Aligi nel secondo atto, la violenta uccisione di Lazaro in scena e infine l’atto eroico di Mila che si sacrifica per amore. Ma in questo capolavoro dannunziano, oltre a questo filo tensore fortissimo, ci si imbatte nel fascino della tradizione con tutti i suoi cerimoniali: "l’incanata" dei mietitori, la presenza di segni nefasti, come il pane che cade per terra nel primo atto e l’olio che si versa nel secondo fino alle diverse filastrocche di scongiuro.

Questi rituali che appartengono alla sfera della superstizione, in tutta la tragedia coesistono con la religione fino a confondersi con essa. Non a caso, infatti, l’inizio dell’azione avviene proprio nel giorno di San Giovanni, il cui culto accomuna usanze pagane e cristiane. L’amore di d’Annunzio per la tradizione è testimoniato dalle tante reminiscenze di antichi drammi sacri abruzzesi e rifacimenti di canzoni popolari, che si ritrovano ne La figlia di Iorio.
In quest'opera il gruppo ha un’importanza determinante.

I sentimenti che determinano l’andamento di questa tragedia sono collettivi e più sono condivisi dalla comunità più sono intensi; ogni gesto disonesto non lo è più se appartiene alla collettività. Le donne vogliono consegnare Mila ai mietitori sapendo che le faranno violenza, ma a loro sembra giusto perché è una collettività che la reclama. "Ho cercato quindi - dice il regista - di evidenziare questo potere del gruppo facendo muovere queste collettività come se avessero una sola anima quasi a imitazione del coro greco, tanto caro a d’Annunzio".
La grandiosa tela La figlia di Jorio, dipinta da Francesco Paolo Michetti nel 1895, rappresenta una giovane figura femminile enigmatica ed affascinante drappeggiata di rosso, che si allontana con passo veloce.

La tela è ospitata nella Sala della Giunta, nel Palazzo della Provincia di Pescara.

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