Inaugurata in Sala d’Arme a Palazzo Vecchio la mostra dell’artista greco Mytaras e nel cortile della Dogana l’esposizione del Laboratorio d’Arte di Calcide

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
11 luglio 2001 15:35
Inaugurata in Sala d’Arme a Palazzo Vecchio la mostra dell’artista greco Mytaras e nel cortile della Dogana l’esposizione del Laboratorio d’Arte di Calcide

Inaugurata oggi in Sala d’Arme di Palazzo Vecchio la mostra del pittore greco Mytaras che, a trent’anni dalla sua prima e unica ‘personale’ a Firenze, l’artista torna in Italia con una mostra che sarà aperta fino al prossimo 26 agosto. Nel cortile della Dogana di Palazzo Vecchio, invece, è stata presentata al pubblico la mostra dei lavori del Laboratorio d’Arte di Calcide, guidata da Charicleia Mytarà, moglie di Mytaras, che guida il Laboratorio, divenuto un’esperienza ormai conosciuta in tutto il mondo, dal 1978.

DIMITRIS MYTARAS
Dimitris Mytaras è nato a Calcide (Eubea) nel 1934.

Ha studiato pittura alla Scuola Superiore di Belle Arti di Atene (1953-1957), avendo come maestri Jannis Moralis e Syros Papalukas. Dal 1961 al 1964, grazie ad una borsa di studio governativa, ha continuato i suoi studi di pittura e scenografia presso l’École Nationale des Arts Décoratifs et Métiers d’Arts a Parigi sotto la guida di Labicse e Barreau. Dal 1964 al 1972 ha tenuto il Corso di Decorazione d’Interni all’Istituto Tecnologico ad Atene; e dal 1975 è professore alla Scuola di Belle Arti di Atene.

Nel corso della sua carriera ha partecipato a numerose mostre collettive internazionali, tra cui la Biennale di Venezia nel 1972. Nel 1978 fonda, insieme a Charikleia Mytara, una scuola di pittura a Chalkis con il patrocinio del Comune. Nel 2000 è stato premiato con la Medaglia d’Oro della Città di Chalkis e con la Fenice d’Oro della Presidenza del Governo. Le opere di Dimitris Mytaras si ispirano principalmente alla figura umana raffigurata attraverso una fusione idiosincratica tra naturalismo ed espressionismo, ponendo particolare attenzione al colore steso con pennellate veloci e al bilanciamento della composizione.

La sua ricerca pittorica si avvia nella seconda metà degli anni Cinquanta nei termini di una figurazione sinteticamente rappresentativa, forte e sommaria, d’accento alquanto espressionista. Alla quale, all’inizio dei Sessanta, subentra una figurazione non più in qualche misura diretta ma invece evocativa, frammentaria. Dopo gli anni Sessanta aderisce al Realismo Critico, realizzando una serie di lavori intitolati Documenti fotografici (1966-70), che commentavano la vita in Grecia durante il regime dei “colonnelli”.

Più tardi l’artista introduce elementi dell’antica Grecia in paesaggi geometrizzati; quindi, alla fine degli anni Settanta, crea una galleria di ritratti di artisti greci famosi nel mondo - come Peggy Zoumboulaki e Marina Lambraki-Plaka, direttrice della Galleria Nazionale -; e più recentemente, invece, ha adottato i motociclisti per assurgerli a simbolo della velocità della vita contemporanea, per poi tornare di nuovo al tema del ritratto e della figura femminile. Il motociclista con casco, occhiali e tuta, dipinto di opachi grigio-azzurri, inquadrato da colonne di ordine classico, è visto dal pittore come “un animale selvaggio”, il rappresentante di una sorta di tensione esistenziale fra l’uomo e lo spazio urbano, che interpreta lo squallore di una terra oppressa.

Nelle opere recenti, ha approfondito il già sperimentato tema del ritratto e della figura femminile discendente della “Parthenos” e delle “Korés”, raffigurata in una calma ieratica, dove però il gesto vivo e impaziente, i colori accesi e violenti, e la posa erotica e audace, evocano un effimero autocompiacimento nella propria immagine rispecchiantesi. Le sue composizioni collocate entro una cornice di architetture classiche, a fianco ad antiche rappresentazioni funerarie, testimoniano l’ansia del mondo antico legata a quella del mondo moderno ed esprimono il dilemma dell’uomo d’oggi nei confronti sia della società che della propria solitudine, immergendolo in un paesaggio di desolazione.

Questa sua intenzione di figurazione risulta non genericamente divagatoria ma intimamente mirata. Intende infatti dare immagine al proprio tempo, testimoniarlo. Figura l’uomo contemporaneo nella sua solitudine sociale altrettanto che figura la vitalità animalesca della donna, che veste (o sveste) sempre di un loro costume moderno. In questo suo dare immagine al proprio tempo concorre una componente sociologica (evidente in una certa postura da ritratto di società, incorniciato architettonicamente, di suoi personaggi, come negli anni Settanta); ma anche una componente antropologica (evidente nel vitalismo di certi nudi degli anni Ottanta).

E quest’ultima può ricordare – in particolare negli anni Novanta – accenti vitalistici di radice picassiana. Ed è entro tale capacità di confrontarsi con il proprio tempo, non rappresentandolo cronachisticamente ma riassumendolo appunto in figure emblematiche, che si esprime la qualità più intima dell’immaginazione pittorica intimamente scenica di Mitaras.

In evidenza