Il dopo elezioni a sinistra: il commento di Amos Cecchi

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
24 maggio 2001 00:35
Il dopo elezioni a sinistra: il commento di Amos Cecchi

Il dibattito della sinistra sulle elezioni politiche si arricchisce del contributo di Amos Cecchi che ieri sera ha tenuto una "relazione politica" in occasione di un'incontro dell'associazione Firenze al Futuro.

Sul voto politico-generale 2001

di Amos Cecchi

1. Il voto, con una maggioranza di seggi in entrambi i rami del Parlamento, ci consegna un chiaro successo politico del centro-destra.
Il centro-sinistra subisce una grave sconfitta politica. Non tanto nei numeri: più o meno pari, guardando al voto uninominale, seppur fortemente distanti nella quota proporzionale (e qui è già un dato specifico su cui puntare l’attenzione).

Non per l’astensionismo: l’exit, nel voto, torna ad essere, significativamente, in specie per il centro-sinistra, voice. Ma per una capacità di coalizione largamente al di sotto del necessario e della potenzialità esistente.
È evidente che si segnala, senza dubbio, presso Prc ed Italia dei Valori, una perdita di quel senso della politica che ha nell’individuazione del nemico/avversario principale un criterio decisivo.
Ma la percezione chiara e diffusa, fin dall’inizio (data dalla normale aritmetica della politica), dell’impossibilità, in condizioni di forte divisione interna del potenziale di centro-sinistra, di una vittoria dell’Ulivo, non ha prodotto, nei suoi gruppi dirigenti, una convinta e determinata ricerca di stare nello scontro con una possibilità di successo.
La politica del centro-sinistra, prima del voto, si è ritirata sulle condizioni di una sconfitta probabilissima, inevitabile, annunciata.
Il discorso critico non può non concernere, pure l’insieme di iniziative, proposte, stop and go (come è stato per il problema del conflitto di interessi), zig-zag, che nel quinquennio ha riguardato i problemi di riforma istituzionale.
2.

Esce dal voto un centro-sinistra che da un lato presenta l’emergere di un’importante formazione di centro democratico (è un dato assai positivo, da consolidare) e che, dall’altro lato, squaderna un grave problema di ruolo e di consistenza della sinistra: circa 2 milioni e mezzo di voti in meno, rispetto al ’96; in larga parte perduti dal partito dei Ds che (con un arretramento del 4.5 per cento) si posiziona, nel 2001, appena sopra al dato Pds iniziale del ’92 (16.6 contro 16.1, per cento).
Per quel che riguarda la coalizione (per cui è bene darsi forme di coordinamento), c’è da dire che il suo configurarsi a due componenti principali (una di centro-democratico e una di sinistra), per tutta una fase, non potrà che essere il dato politico di fondo della sua esistenza e della sua forza, lasciando cadere ogni discorso (assai ideologico) sul partito democratico (unico).
3.

Il problema più grande che si manifesta è la ricostruzione di una sinistra all’altezza del compito.
Per la sinistra, nel suo complesso, come parte necessaria e decisiva del centro-sinistra, s’impone una riflessione d’insieme: sulla sua funzione politica e sociale (e quindi sulla sua cultura, la sua organizzazione e vita democratica, il suo rapporto con la società) e sulla sua strategia (progetto+politica).
Ma un progetto di sinistra, dentro la società del Duemila (da leggere attentamente e profondamente nelle novità e nelle permanenze che presenta: altrimenti senza lettura critica della società non si dà progetto) e dentro la globalizzazione, o fa propria la sfida dell’innovazione/modernizzazione o non è un progetto.

Ma è chiamato a farlo da un suo punto di vista, quello della trasformazione sociale o non è un progetto di sinistra (o di centro-sinistra).
Insomma, c’è un senso nell’esistenza della sinistra che non può essere assolutamente perduto.
La ricostruzione di una sinistra con un alto profilo di riformismo passa, insieme ed in interazione con la reimpostazione di un progetto di trasformazione, anche per l’attestarsi su una cultura politica critica dell’esistente, in grado di produrre una nuova lettura della società odierna: con la ricerca politico-culturale e con la capacità di proposta politica e di ascolto, e, quindi, anche e fortemente con la prassi di un rapporto con la società diretto e non mediato.

Tutto il contrario della cultura del sondaggio, parte organica di una politica usa e getta: una contestazione avanzata nell’ultimo periodo, con particolare acume, da Dahrendorf, che non possiamo non fare nostra.
Una sinistra ricostruita necessita di una nuova, chiara e forte intelaiatura di ruoli e di rapporti, organizzati, costanti, interagenti con la società e con le istituzioni, tramite una rete di aggregazioni politico-civili, di movimenti di massa e d’opinione e, prima di tutto, se vogliamo, di partiti: che siano soggetti politici veri, in grado di produrre idee e azioni, di formare un’opinione pubblica, di essere attori – attraverso un agire politico di massa, anche controcorrente, se è necessario – e non spettatori, con una loro diffusa organizzazione e una loro vita interna, democratica e trasparente; con una loro moralità (in cui sia esaltato lo spirito di servizio e non l’esercizio del potere fine a se stesso o alla fortuna personale; in cui il confronto democratico sia sulla politica e non una guerra per bande sulla gestione del potere; in cui la lotta politica sia limpida – ad esempio, senza sondaggi di bassa lega usati come deterrente – e non punti alla distruzione politica dell’avversario, interno o esterno); con una loro capacità di formare/selezionare un personale politico; con una loro chiara autonomia dalle istituzioni, con una credibilità propria, espressa da gruppi dirigenti, ad ogni livello, su mandati politici chiari.

Non organizzazioni largamente autoreferenziali. Non partiti del leader.
E soprattutto cerchiamo di non risolvere un problema che è della portata che stiamo indicando attraverso una nuova somma di sigle (la Cosa 3).
4. La politica è ad un punto di profonda crisi: ha perduto credibilità, sia come possibilità di produrre un cambiamento significativo (e questo è particolarmente grave per la sinistra), sia come spazio di impegno civile e di rapporto importante fra istituzioni e cittadini.


Tra la vita politica e la gente permane una distanza forte. L’area decisionale si è assai ristretta: nei partiti, nella società civile, a livello di massa. La politica non ha più soggetti forti, sia sul piano della discriminante programmatica che su quello del consenso attivo di massa.
La società civile, in specie nelle sue aggregazioni per valori e di tutela di interessi diffusi, langue assai: non è più luogo di impegno, importante ed esteso. Prevale largamente una forma egoistica di protagonismo civile (la sindrome Nimby).


L’impegno politico e civile ha segnalato, fin qui, usando Hirshman, poca voice e molto exit.
Per la sinistra c’è un problema di ricostruzione. Per il centro-democratico quello di un consolidamento per essere ancor più attrattivo nell’area in cui ricopre un ruolo determinante per l’intero centro-sinistra.
Per l’insieme del centro-sinistra c’è da determinare nel rapporto con il Paese un nuovo e diffuso feeling. Esso non può che passare per un’iniziativa di opposizione forte e chiara in Parlamento e nel Paese (e di più intenso governo locale e regionale, ove siano chiamati a questo ruolo), volta a creare le condizioni politiche e sociali di una nuova affermazione del centro-sinistra, per il governo del Paese.
Non è qui il caso di soffermarsi più di tanto sul modello di opposizione da perseguire.

Possiamo qui dire: per valori, per programmi, per ricambio tramite un nuovo voto.
C’è da insistere piuttosto sul punto che sia l’opposizione, a livello nazionale, che il nostro governo, locale e regionale, chiedono un rapporto nuovo del centro-sinistra con la società, e, quindi, la ricostruzione, democratica, culturale, morale, di uno spazio politico esteso e permeabile ad un agire politico diffuso. E’ questa la dimensione da creare, che può supportare un progetto di trasformazione della società, delle nostre città e del Paese.


Il riformismo dall’alto (che è l’agire politico di governo che rimane, in uno stato di profonda crisi della politica come dimensione di massa) ha un limite strutturale. Esso è stato proprio del nostro quinquennio di governo del Paese e riguarda anche i nostri governi, locali e regionali. Ed è l’altra faccia di un’opposizione che, di per sé, non è destinata a rendere partecipi grandi masse di cittadini. O l’azione di cambiamento dispiega fortemente valori e programmi, diventa mobilitante, e incontra una larga condivisione attiva, o non produce risultato apprezzabile.


Partiti e società civile: è, in tal senso, un rapporto da ridefinire, rompendo la spirale di politicismo che pervade gli uni e lo stato assai problematico che connota l’altra.
La vita politica dei partiti non ha più impulsi significativi d’innovazione, di autoriforma, al proprio interno e non ne riceve dalla società civile: qui sta un rilevante problema.
Un cambiamento profondo, una riforma, politica e morale, dei partiti si impone.
Passa per un confronto – in specie a sinistra – che muova principalmente dal basso, che punti ad animare tutti i legittimi proprietari dei partiti, a cominciare da quell’area di cittadinanza politica, militante o dispersa o ripiegata su se stessa, che è ancora – pur in modo problematico – popolo di sinistra che può mobilitarsi.
Anche dall’alto: facendo i gruppi dirigenti, o i leaders, un passo indietro, e rendendosi le diverse formazioni politiche disponibili ad una riflessione comune su una sconfitta che è di tutta la sinistra.
Ma sui partiti – dove non è possibile o pensabile riportare tout court una disponibilità all’impegno, non semplice a manifestarsi anche ad altri livelli, non partitici – è necessario che si eserciti una forte pressione della società civile: e questo può darsi soltanto se si ricostruiscono e si ri-motivano aggregazioni della società civile, larghe e forti, per obbiettivi programmatici e per agire politico, ed esse entrano in forte interazione con le istituzioni e con i partiti, ridando loro linfa.
5.

Con il governo di centro-destra in Italia, con la presidenza repubblicana di G. W. Bush negli Usa – presentatasi al mondo con l’idea-guida del primato del business sull’ambiente, con il rilancio del complesso militare-industriale, con l’azzeramento dello stato sociale – cui il centro-destra italiano si propone come sponda politica, e in un processo di globalizzazione che pone di per sé assai a rischio la democrazia reale sulle grandi scelte, come è ancora Dahrendorf a dirci, lo spazio del riformismo a livello mondiale si è assai ristretto.


Forse, se guardiamo al complesso dei consensi dei cittadini italiani, la sconfitta politica del centro-sinistra non ha portata storica. Anche se non si è distanti dal reale a dire che la massa dei voti al centro-sinistra è più contro il rischio individuato nel centro-destra che per il centro-sinistra.
Il lavoro che, comunque, attende chi vuol riaprire una prospettiva di cambiamento nel Paese è di grande rilevanza, riguarda una reimpostazione d’insieme progettuale, culturale, organizzativa: in una parola, strategica".

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