La scoperta di un primo caso sospetto in Italia di enecefalopatia bovina spongiforme, ovvero del cosiddetto “morbo della mucca pazza”, è sicuramente un fatto preoccupante, che spinge ad intensificare ulteriormente la vigilanza, ma che non deve scatenare ondate di allarmismo tra i cittadini. Proprio i controlli, quali quelli che hanno portato all’individuazione del presunto caso di Bse in Lombardia, rappresentano la principale garanzia a difesa di un consumatore che comunque ha un’altra carta da giocare, la scelta di carne di qualità.
E sia per quanto riguarda la serietà dei controlli che i livelli di qualità dei suoi allevamenti la Toscana può guardare con sufficiente serenità agli sviluppi della situazione. E’ quanto intendono sottolineare gli assessori regionali all’agricoltura, Tito Barbini, e al diritto alla salute, Enrico Rossi, in relazione agli ultimi sviluppi sull’allarme Bse. “Non potevamo illuderci che l’Italia fosse un’isola felice in tutto il continente, la stessa Unione europea aveva previsto la possibilità che anche nel nostro paese prima o poi sarebbero emersi alcuni casi – ricordano gli assessori – E’ una notizia assolutamente da non sottovalutare.
Attenzione però non significa dare via libera ad un allarmismo che rischia di estendersi a macchia d’olio, investendo anche il latte e altri prodotti. Quello di Brescia può anche non essere un caso isolato, altri se ne potranno aggiungere nei prossimi giorni quando nuovi test saranno completati, ma questi risultati possono esserci, perché ci sono i controlli. L’importante è proprio questo, che sul mercato non arrivi carne che non sia attentamente controllata”. Questa, spiegano gli assessori, è l’unica risposta razionale ad una giustificata preoccupazione per la “sindrome della mucca pazza”.
“L’alternativa significherebbe fare di tutta l’erba un fascio, bandendo dalla propria dieta anche carni che offrono alte garanzie di genuinità e salubrità. E’ il caso degli allevamenti toscani, particolarmente per quanto riguarda le produzioni più pregiate. E non è un caso che la nostra chianina sia stata scelta per uno spot nazionale sul tema della sicurezza alimentare”. In Toscana, ricordano infine i due assessori, esiste un pieno rispetto della normativa comunitaria che prescrive test per tutti i capi avviati alla macellazione con un’età superiore a 30 mesi.
L’Istituto zooprofilattico per la
Toscana e il Lazio garantisce gli esami per 32 campioni al giorno, una
disponibilità che finora, visto il rallentamento delle macellazioni, è stata
superiore al fabbisogno, ma che comunque dalla prossima settimana sarà
raddoppiata. Dal 2 gennaio ad oggi, infatti, l’Istituto ha accettato tra Toscana
e Lazio 73 campioni – il numero esiguo si spiega anche con la scelta di
qualità degli allevamenti toscani: i capi sopra i 30 mesi, meno pregiati, sono
in genere destinati a produzioni industriali e macelli del Nord Italia - di cui
64 refertati: tutti ovviamente con esito negativo.
"Non ci fidiamo.
Ne', giustamente, si fidano i consumatori -è la risposta a proposito della questione della mucca pazza, del segretario dell'Aduc, Primo Mastrantoni- Nei mesi scorsi, piu' volte le pubbliche Autorita' hanno dichiarato che la carne italiana era sicura. I fatti hanno smentito queste affermazioni. Gli stessi produttori nei mesi scorsi dichiaravano che tale patologia non ha mai interessato il patrimonio bovino italiano autoctono. I fatti hanno smentito queste dichiarazioni. D'altronde come si possono rilasciare dichiarazioni rassicuranti quando i test sono appena iniziati? Quale macellaio potrebbe garantire che la carne in vendita e' esente dal morbo? Dove troviamo l'etichetta con il luogo di provenienza e di allevamento dei bovini? Allora perche' i consumatori dovrebbero fidarsi? Noi continuiamo con la campagna: non mangiare carne bovina".