The Camera Eye alla Limonaia di Villa Strozzi

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
19 luglio 2000 09:56
The Camera Eye alla Limonaia di Villa Strozzi

Il senso della visione di un fanciullo è onnivoro. La sua freschezza, fondata sul senso della scoperta, non conosce gerarchie. Gli adulti vedono solo ciò che vogliono vedere. Quando gli adulti indicano ai bambini qualcosa in maniera che essi lo possano vedere, l’attenzione del bambino si focalizza spesso su quel dito puntato. La fotografia è quel medium che rende qualcosa del mondo che ci circonda ricco di significazione grazie a un dito che indica. Il fotografo punta l’apparecchio e racchiude un angolo della realtà nelle pareti dell’obiettivo, per renderlo presentabile come dono non atteso.
Abelardo Morell ha speso anni nella fascinazione di questa visione infantile.

Ha imparato ad esaminare il dito puntato. Il suo sogno è quello di rinnovare il sistema stesso della visione, trasportando lo spettatore all’interno della macchina fotografica stessa.
Le sue immagini realizzate con la tecnica della camera oscura riecheggiano il reale processo della vista umana, con l’inversione di ciò che si osserva all’esterno impressionata su un materiale sensibile alla luce. Stanze che si colorano di paesaggi urbani, rigorosamente rovesciati, pronti a diventare inusuale carta da parati, murales industriali, misteriosa rivelazione capovolta dell’universo che sta fuori dall finestra.

La visione si uniforma alla tecnica, fa abitare l’osservatore all’interno stesso del mezzo, come avviene nella stregata camera oscura di Fontanellato, vicino a Parma, immortalata anche dal regista Bernardo Bertolucci nel suo film Prima della rivoluzione. Il suo è sogno infantile, e umanistico allo stesso tempo, che lo avvicina alle fantasticherie di Leon Battista Alberti o di Athanasius Kircher, seicentesco pioniere del cinematografo.
C’è un altro aspetto, quello domestico, dell’opera di Morell, che lo conferma incantato indagatore.

Le sue foto "domestiche", che ha cominciato a scattare ispirato dalla nascita del figlio Brady, nel 1986. Sono oggetti del quotidiano (una pentola che trabocca, il frigo, una di carta, orme di piedi sul pavimento del bagno) visti con curiosità rinnovata, con l’occhio del fanciullo. Operando inusuali trasformazioni con cambiamenti e contrasti di luce, registrando il passare del tempo sull’oggetto, o un sorprendente lato di inquietudine potente. L’obiettivo è quello di rivelare, usando l’espressione di un fotografo molto caro a Morell – Minor White – le cose per ciò che sono di altro.
Abelardo è nato a Cuba, nel 1948.

All’età di quattordici anni è immigrato con la famiglia negli Stati Uniti. A New York, il padre lavorava come portiere e sovrintendente in un palazzo. Il giovane Morell legge Hemingway a scuola per imparare l’inglese, rimanendo colpito dai sintetici, straordinariamente espressivi periodi del romanziere. Ottiene una borsa di studio per un college del Maine, il Bowdoin, dove fallito il tentativo di studiare ingegneria si impegna in un corso di religioni comparative. Qui scopre la fotografia, e si avvicina all’opera di Minor White e John Cage.

Ad affascinarlo è soprattutto il potere mistico delle immagini diWhite. È interessato alle forme dei libri, alle mappe antiche, ai grandi paesaggi urbani riprodotti in bianco e nero con il singolare procedimento dell’inversione tipico della camera oscura. Dal 1986 cerca di scoprire la briciola di bellezza insita negli oggetti quotidiani.

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