Emily Dickinson e il suo epistolario al Fabbricone di Prato.

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
03 aprile 2000 10:18
Emily Dickinson e il suo epistolario al Fabbricone di Prato.

Voce tra le più significative della cultura contemporanea, la poetessa americana visse nel più completo isolamento, culturale e fisico, scrivendo 1775 poesie di cui pochissime furono pubblicate durante la sua vita. Il suo vitalismo prorompente e le forme ritmiche inusuali e trasgressivamente libere hanno rappresentato uno stimolo artistico notevole per la regista Monica Conti, che con il suo lavoro “La donna di pietra” – in programmazione al Fabbricone fino al 20 aprile – ha cercato di catturare e rappresentare il senso di una storia femminile, di una donna che rifiuta la sua parte corporea per autorappresentarsi come pura energia.

Il lavoro, progettato fin dal 1993, si gioca sul legame forte, coinvolgente, cosmico, fra due amiche, Emily e Susan, e sullo sprigionarsi di un’anima irrazionale e sensuale alla ricerca disperata di una unione che non troverà più. Dal magma delle riflessioni della Dickinson sui grandi temi dell’amore, della morte, della natura e di Dio, che si sviluppano con accenti fortemente metafisici nella ricerca di un impossibile equilibrio tra eternità e contingenza, immortalità e disfacimento, la regista estrapola il senso del doppio, del simbolo femminile diviso che vorrebbe ricongiungersi, dei desideri irrealizzabili espressi nei suoi scritti.

Le vibranti interpretazioni di Bruna Rossi nella parte di Emily e di Maria Ariis nella parte di Susan restituiscono quel mondo istintivo e passionale sempre in procinto di esplodere, animato dall’orrore del nulla e dalla paura di perdere gli affetti terreni. Tale narrazione e rappresentazione non sarebbe però la stessa senza la splendida organizzazione spaziale e scenica realizzata dallo scenografo Giacomo Andrico, che crea nove quadri per ogni episodio della vita di Emily. La scena illusoria, come un tromp-l’oeil con le suggestioni figurative proprie del pittore simbolista Magritte, dall’atmosfera rarefatta e metafisica del prato verde e del cielo azzurro, dà forma all’emozione estetica che prende corpo lentamente dal buio iniziale in cui è immerso lo spettatore.

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