In occasione del venticinquennale dei vertici antimafia della Fondazione Antonino Caponnetto, il 30 novembre 2024 si terrà a Firenze il 34° Vertice Antimafia, intitolato “Dalla Mafia 4.0 all’Antimafia 4.0”. L’evento, che si svolgerà nella Sala Capitolare del Convento di Santo Spirito a Firenze, vedrà la partecipazione di numerosi esponenti del settore antimafia e affronterà il tema dell’evoluzione della criminalità organizzata, oggi sempre più tecnologicamente avanzata.
In un periodo cruciale per il Paese, la Fondazione Antonino Caponnetto richiama la necessità di un rinnovamento dell’antimafia, con strumenti e strategie moderne, in un’azione congiunta tra istituzioni, associazioni e cittadini. Nove da Firenze ne ha parlato con Salvatore Calleri, presidente della Fondazione.
Quali sono le sfide poste dalla Mafia 4.0?
Le organizzazioni criminali sono differenti e noi dobbiamo adeguarci al presente e al futuro.
Per esempio hanno smesso di uccidere, almeno in Italia?
Bisogna distinguere: nel nostro paese abbiamo assistito a guerre di mafia e a strategie terroristiche come quella messa in atto da Totò Riina, un modello rivelatosi perdente. Piuttosto ha avuto successo il modello catanese e agrigentino, aree dove si è preferito sempre soluzioni meno cruente per raggiungere i propri obiettivi criminali. Ma ogni volta che è servito le mafie non hanno mai risparmiato minacce e armi da fuoco.
Anche perché il loro potere finanziario è enorme?
Certamente è più facile restare sotto-traccia nell’attuale contesto sociale, che è assai permeabile. Analisi attendibili stimano il patrimonio criminale accumulato in un secolo e mezzo a circa 3.000 miliardi di euro, per coincidenza pari all’ammontare del debito pubblico. Un’informativa di polizia di qualche anno fa dava notizia di un intermediario finanziario, non indagato, che da solo gestiva per delle organizzazioni 500 miliardi di investimenti.
Servono nuove conoscenze per capire le nuove condotte criminali e come combatterle?
Dobbiamo alimentare una più moderna cultura della legalità. E rianimare l’antimafia sociale che nella storia del nostro paese ha sempre anticipato l’iniziativa giudiziaria. Da alcuni anni come Fondazione Caponnetto prendiamo in analisi i principali clan operanti, magari come alleati, in Toscana. Un anno fa la Procura della Repubblica di Milano ha ipotizzato l’esistenza di una sorta di confederazione criminale per il controllo della città e la valutazione del Tribunale del Riesame ha confermato la fondatezza di questa tesi accusatoria. Naturalmente ciascun clan ha caratteristiche particolari.
Diversificazione prima di tutto?
Dagli ambiti tradizionali al crimine digitale non ci sono modelli univoci. I clan più forti operano certamente anche sul mercato dei capitali dove l’attività è ancora meno visibile. La lotta alla cybermafia è la nuova frontiera. Bisogna investire a
esempio sulla sicurezza dei dati pubblici, che è già a rischio, come la protezione di quelli personali.
E tornando all’ambito sociale?
Bisogna monitorare l’ascesa delle mafie di strada, che stanno aggredendo le città ricche e le ex isole felici, come Firenze. Cosa stiamo rischiando che lo raccontano le cronache di Francia e Svezia, dove le gang di strada si sono trasformate in gruppi narco-mafiosi. In città meno avvezze al crimine, paradossalmente possono svilupparsi con maggiore facilità. E attenzione: non necessariamente questi sodalizi si aggregano su base etnica. Anche da noi la situazione è da sorvegliare con preoccupazione.
Riprendendo a socializzare i luoghi delle città?
Riqualificare è importante come socializzare ma non sono le uniche soluzioni in quanto possono non bastare. L’economia non allontana il crimine, che anzi viene attratto proprio dai mercati e dal denaro. Quel che dobbiamo contrastare è l’aumento del tasso di violenza, diffuso anche tra i giovanissimi, specie dopo la pandemia Covid-19. Ormai in tante città italiane si registra la diffusione di coltelli, armi e atti violenti. Non c’è tempo da perdere.