​Reverse charge: cos'è e come si gestisce

Conosciuto anche come inversione contabile, si tratta di un metodo particolare di gestione dell’IVA

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
25 novembre 2024 09:45
​Reverse charge: cos'è e come si gestisce

Il mondo dell’IVA e della gestione contabile è complesso, ma resta fondamentale conoscerlo adeguatamente se si lavora da liberi professionisti o come imprenditori. Il reverse charge è uno di quei campi in cui non tutti hanno dimestichezza, ma che è bene saper gestire.

Conosciuto anche come inversione contabile, si tratta di un metodo particolare di gestione dell’IVA in cui non è il fornitore a versarla allo Stato, ma l'onere passa al cliente, ovvero colui che riceve la prestazione o acquista il prodotto.

È un regime che trova applicazione in tanti ambiti diversi, specialmente nei settori più esposti a irregolarità fiscali perché permette di contrastare l'evasione in modo efficace e agevola il controllo della corretta applicazione dell’imposta.

La sua gestione può non essere semplice, a volte, ma esistono strumenti tecnologici in grado di aiutare enormemente in questo compito. L’uso di un ottimo software per autofatture, ad esempio, permette di semplificare l’intero processo, creando e ricevendo l’autofattura con facilità e mantenendo la situazione sempre sotto controllo.

Grazie a un sistema di fatturazione affidabile, chi lavora con il reverse charge può quindi rispettare più facilmente le normative IVA e ridurre il rischio di errori o omissioni, garantendo così una gestione fiscale efficiente e sicura, priva del rischio di sanzioni.

Cos’è un reverse charge

Cos’è il reverse charge? Si tratta, in breve, di un meccanismo fiscale che prevede un'inversione nelle tradizionali modalità di applicazione dell'IVA, in quanto a dover pagare l’imposta non è più il fornitore, ma il destinatario della prestazione o del bene.

Come accennato, tale sistema ha lo scopo di prevenire l'evasione fiscale, assicurando che l'IVA venga pagata anche in quei settori dove c'è il rischio che il venditore non versi l’imposta.

Il cliente, infatti, oltre a registrare l'IVA come dovuta, può esercitare il diritto di detrazione, sempre che l'acquisto sia effettuato nell'ambito della propria attività professionale, e questo sollecita il rispetto della norma.

Inizialmente, il reverse charge veniva in realtà applicato principalmente alle operazioni effettuate da soggetti non residenti, come gli acquisti intracomunitari o quelli provenienti da paesi come San Marino, dove le imprese italiane non avevano una partita IVA domestica.

Questa modalità era nota come reverse charge "esterno" ed aveva lo scopo di garantire che le transazioni con non residenti in Italia fossero correttamente registrate ai fini fiscali. Con il tempo il sistema si è poi evoluto, portando all’introduzione del reverse charge “interno”, applicato appunto alle operazioni considerate ad alto rischio di evasione fiscale.

La normativa italiana in merito al reverse charge

La norma che regola il reverse charge in Italia è contenuta nel D.P.R. 633/1972, in particolare negli articoli 17, commi 5, 6 e 7, e viene applicata in situazioni specifiche, come ad esempio nei settori a rischio di frode fiscale, tra cui l’edilizia e alcune operazioni legate al commercio di beni e servizi.

Con tale metodologia, il fornitore emette la fattura senza addebitare l'IVA, mentre il cliente, una volta ricevuta la fattura, deve calcolare e versare l’imposta come se fosse il fornitore stesso.

Il cessionario o committente che si fa carico dell'IVA dovrà comunque annotarla sia nel registro degli acquisti che in quello delle vendite. A seconda della tipologia di operazione, quindi, l'applicazione del reverse charge prevede l'emissione di una autofattura da parte del cessionario o la semplice integrazione della fattura ricevuta dal fornitore.

Quando si applica il reverse charge

Secondo la normativa, i settori obbligati al reverse charge sono diversi, tra cui quello edilizio, le cessioni di oro da investimento, la vendita di beni tecnologici come tablet e console da gioco, nonché la compravendita di energia elettrica e gas.

Inoltre, si applica anche alle cessioni di fabbricati, qualora l'atto di vendita preveda esplicitamente l'opzione per l'imposizione, e a tutte quelle operazioni che riguardano l'energia, i trasferimenti di quote di emissioni di gas serra e la compravendita di rottami.

Le sanzioni in caso di mancata o l’errata emissione

Anche se l’onere del pagamento dell’IVA si sposta al cliente, questo non significa che non vi siano obblighi in merito. Il reverse charge nasce proprio per impedire l’evasione fiscale e per questo ha normative molto rigide.

Se questa non viene rilasciata o presenta degli errori si può incorrere in determinate sanzioni. Inizialmente, queste erano molto più severe, con importi compresi tra il 100% e il 200% dell'imposta, ma ad oggi sono state riformulate per allinearsi agli orientamenti europei e garantire un approccio più equilibrato.

Attualmente, variano in base al tipo di infrazione. Per fare degli esempi, se il soggetto attivo emette una fattura applicando erroneamente l'IVA anziché il reverse charge, la sanzione prevista è una percentuale dell'imposta con un minimo di 258 euro e un massimo di 10.000 euro, almeno per i primi tre anni di applicazione della norma.

In definitiva, Il reverse charge sposta sì l’onere del pagamento dell'IVA al cliente, ma comporta anche obblighi rigorosi e presenta sanzioni che, benché siano state riformulate, restano comunque significative.

È quindi imperativo prestare attenzione a non commettere errori e, in questo contesto, un software per la fatturazione elettronica può essere un vero e proprio salvavita, in quanto offre un prezioso contributo all’emissione corretta delle autofatture e riduce significativamente il rischio generale di errori nella gestione della propria attività.

In evidenza