Leo Gullotta al Metastasio di Prato, in Prima del silenzio

Dall’8 all’11 gennaio al Teatro Metastasio va in scena il talento poliedrico di Leo Gullotta, al servizio di un delicato e intenso testo di Giuseppe Patroni Griffi, Prima del silenzio, scritto trentatre anni fa per Romolo Valli e ora in scena con la regia di Fabio Grossi (feriali ore 21, festivo ore 16).

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
06 gennaio 2015 11:49
Leo Gullotta al Metastasio di Prato, in Prima del silenzio

Prima del silenzio è la storia di un intellettuale che vive un disagio sociale legato soprattutto alla comunicazione della parola scritta, della poesia. Il suo è un travaglio che assume le fattezze di un incubo, con l’apparizione dei fantasmi della sua vita: la famiglia, come un’entità vorace e ricattatoria; la casta con i suoi orpelli piccolo-borghesi; il dovere che costringe e castra. L’unica vicenda che tranquillizza il protagonista è quella che vive, nel suo contemporaneo, con un ragazzo anarchico e vitale, un selvaggio dei nostri giorni che comunica con le azioni, la presenza, le digressioni sensuali e sessuali.

Con lui il Poeta cerca il mare, accende la propria solitudine, illumina di racconti la quotidianità senza passato dove ha trovato rifugio. L’ansia è quella di testimoniare a un giovane quanto valgano le parole se corrispondono al mito, all’utopia o anche al semplice vissuto di un uomo.

Il Ragazzo, impersonato da Eugenio Franceschini, raccoglie solo a metà: il suo linguaggio è diverso, i suoi obiettivi sono concreti e instabili: girare il mondo, soddisfare il corpo al momento della voglia, in silenzio e senza complessi, onorare il carpe diem.

La soluzione del Poeta è invece dire. Dire tutto prima del silenzio, cioè prima del congedo obbligatorio chiamato morte. Spinto da questa lotta, esorcizza l’apparizione recriminante della Moglie (Paola Gassman), del Figlio (Andrea Giuliano), squallidamente borghese; del vecchio Maggiordomo (Sergio Mascherpa), legato ai trascorsi della ricca esistenza perduta, alle serate mondane e agli amici cui l’antico padrone ha rinunciato.

L’ultimo grido è così un parto metaforico, che dà carne alle parole, motivazioni ad una scelta, immortalità al ricordo.

In evidenza