In esilio, con Simone Lenzi

A Roma la presentazione, con Paolo Virzì e Annalena Benini, dell’ultimo romanzo dello scrittore toscano, diario intimo e pamphlet esilarante contro i vizi italici

Elena
Elena Novelli
17 maggio 2018 23:55
In esilio, con Simone Lenzi

Il potere della letteratura. Mentre fuori si vivono giorni difficili per la nostra giovane democrazia - che sembra aspirare anch’essa ad un esilio volontario dall’Europa - in un’affollata presentazione alla libreria Feltrinelli in Galleria Alberto Sordi di Roma, mercoledì scorso si sono riuniti pezzi importanti della passata legislatura: il Ministro della Giustizia Andrea Orlando, il sottosegretario allo sviluppo economico Ivan Scalfarotto e il deputato Andrea Romano. L’occasione è stata l’ultima opera di Simone Lenzi “In esilio, se non ti ci mandano vacci da solo”. Dello scrittore - e frontman dei Virginiana Miller - oltre a “Sul Lungomai di Livorno” e ”Mali minori” abbiamo apprezzato “La generazione”, da cui è stato tratto il film ‘Tutti i santi giorni’ di Paolo Virzì, che insieme alla giornalista e scrittrice Annalena Benini ha moderato l’incontro.

“Non è un romanzo politico” ha suggerito il regista livornese, che sembrava negare per affermare, lui che con lo sceneggiatore Francesco Bruni ha fotografato per primo l’inizio della crisi: in ‘Ferie d’agosto’ infatti, nella contrapposizione tra la famiglia snob di sinistra e quella cafona di destra, si delineava già quella crepa che si è aperta poi nelle urne. Lenzi ne prende atto e, nel libro e nella vita, si ritira in campagna. Lo scrittore non si riconosce più nella sua città, in quella Legione come la chiama lui - che poi sarebbero i Grillini - che considera la natura amica (“Amica di chi?” Si chiede), si trascina tra un aperitivo vegano e l’altro, ‘lavora gratis’ su Facebook alla ricerca di un capro espiatorio, ma soprattutto ha “bisogno di sentirsi dalla parte dei giusti, degli onesti” e si dà la patente da sola.

“In questa prematura vecchiaia” nota Lenzi, la cui opera esce in concomitanza con i dati dell’Istat che ci confermano una vetustà anche anagrafica del nostro Paese - dietro la stanchezza della gente per il Partito, si nasconde una più profonda e inconfessabile stanchezza della gente per se stessa”. “E’ vero - constata Scalfarotto - siamo rimasti una minoranza”. Ma Andrea Orlando non ci sta, prende il microfono in polemica col suo collega di partito e riafferma la necessità, l’urgenza di riconquistare quel pezzo d’Italia che si è allontanato da una politica fatta di grandi ideali, per planare sulle ‘piste ciclabili’ e coltivare letteralmente il proprio orticello con gli orti urbani.

“Io da Livorno son fuggito a vent’anni” racconta Virzì tra invettive e aneddoti che ci riportano alla città scanzonata dei suoi film. Ma la crisi raccontata da Lenzi - pur tra pagine esilaranti - sembra essere più profonda, e ricondursi ai grandi romanzieri dell’800. Sembra affondare in ‘quel quarto di sangue oscuro’ che si cela in ogni famiglia...ma mentre aleggia il fantasma di Anna Karenina, lo scrittore ribalta l’incipit tolstoiano affermando che “Tutte le famiglie infelici si somigliano, ogni famiglia felice, invece, è imperfetta a suo modo”.

E tra ricordi e aneddoti dall’umorismo fulminante - “...perché buttarla sul ridere è una forma di delicatezza” - traccia la storia di una famiglia in cui tutti finiscono per riconoscersi, non ultimo il Guardasigilli citato nel romanzo e cugino dell’autore, che al microfono confessa sconsolato: “Ho tentato per una vita di nascondere quel quarto di sangue oscuro, e adesso lo ritrovo nero su bianco a sublimare la parabola del nostro Paese”. Il potere della letteratura.

“Non è mai troppo tardi per rimettersi in piedi, per rialzare la testa - cantava Lenzi nell’album ‘Venga il regno’ - perché la vita ti vuole”. Cos’è successo da allora? Lo scrittore non lascia speranza: “Di fare una fine, alla fine, lo capiscono tutti”, cambia soltanto il momento in cui ce ne accorgiamo e da allora niente ha più senso. Anche nei romanzi è così, suggerisce citando Madame Bovary, c’è sempre un segno, un episodio che l’autore butta la’ per spiegarci che è inutile opporsi al proprio destino. E allora perché darsi pena...anche solo di parlare, e qui invece di Flaubert entra in scena il solito parente dal quarto di sangue oscuro. Perché in fondo anche noi siamo umili personaggi che si muovono nel breve teatro della vita, sembra ripeterci.

Ma alla fine ci regala una speranza, ci rivela che esiste qualcosa che va aldilà delle nostre beghe quotidiane e dura per sempre: i bei romanzi, le storie che lui va raccontando nei penitenziari e che i carcerati prendono molto sul serio. Il potere della letteratura.

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