Gran Caffè San Marco: la Cgil chiede l'attivazione di un tavolo di crisi

Sulla chiusura del bar, la Filcams: “Cerchiamo soluzioni che mantengano in vita il locale e salvaguardino l’occupazione”. Incassi giù dell’80% per i ristoranti dei centri storici, 8 aziende su 10 hanno fatto ricorso alla cassa integrazione. Il 10% ha dovuto richiudere

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
28 settembre 2020 23:55
Gran Caffè San Marco: la Cgil chiede l'attivazione di un tavolo di crisi

Firenze, 28-9-2020- La Filcams Cgil Firenze lancia un allarme per quello che sta succedendo nel settore dei pubblici esercizi, sia bar che ristoranti: "Dal nostro osservatorio assistiamo, in città, a negozi chiusi ormai dal lockdown, a riaperture con talune scelte imprenditoriali che fanno dimettere i dipendenti ai quali si chiede di essere riassunti con contratti a chiamata, fino ad arrivare anche a forme di lavoro nero e grigio. Una situazione che, se non governata, rischia una conflittualità diffusa, che non porta da nessuna parte con imprenditori che accusano le istituzioni che non hanno fatto tutto il possibile e con lavoratrici e lavoratori che diventano più precari di quello che erano, che perdono il lavoro e una città che si impoverisce, diventa meno accogliente, meno sicura e con una rabbia sociale che cresce.

In queste ore assistiamo alla chiusura di un importante e storico pubblico esercizio, il Gran Caffè San Marco in piazza San Marco dove lavorano circa 35 lavoratrici e lavoratori che perderanno il loro posto di lavoro. Non possiamo rimanere inermi -affermano per la Filcams Cgil Firenze, il segretario generale Massimiliano Bianchi e Rosa Anna Lombardo- chiederemo l’attivazione del tavolo di crisi, presso la Città metropolitana, volendo comprendere le ragioni della chiusura di come poter trovare le soluzioni, per superare la crisi, per garantire l'occupazione.Le crisi vanno affrontate attraverso il confronto, non con gli slogan e le invettive, ma ricercando le soluzioni possibili.

Questo è il capitale sociale di questo territorio, che la politica deve tenere alto e che come Filcams Cgil vogliamo continuare a mantenere e coltivare. Nelle ultime elezioni politiche regionali, i toscani si sono ribellati al tentativo di contendere la Toscana, perché hanno voluto mantenere e difendere, nel timore, questo capitale sociale. Un capitale sociale che non può essere sempre essere difeso col timore, e che non durerà all’infinito se non lo coltiveremo e lo rinverdiremo con azioni concrete, entrando nei problemi delle persone, cercando di risolvere i loro problemi dando loro una prospettiva che li accomuni, cioè garantire una vita decente, un lavoro di qualità, un senso comune di orientamento e di comunità.Noi come Filcams Cgil vogliamo essere protagonisti del mantenimento di questo capitale sociale, nel quale il valore del lavoro di qualità ha un suo portato fondamentale; sulla chiusura del caffè San Marco, in questo specifico caso, vogliamo portare il nostro contributo per individuare soluzioni e non assumere un atteggiamento di spettatori che guardano soltanto alla dinamica degli eventi nonostante la nostra rappresentanza diretta".

Se il periodo di chiusura per il lockdown ha rappresentato una fase durissima per il settore della ristorazione, la riapertura non è stata una ripartenza per tutti. È quanto emerge dal sondaggio realizzato la scorsa settimana tra i propri associati dai Ristoratori Toscana, gruppo che rappresenta mille imprenditori a Firenze e 15 mila in Toscana. L'indagine conferma le difficoltà che il settore sta attraversando, soprattutto nei centri storici. Infatti, a pagare di più lo scotto alla crisi da pandemia sono i ristoranti che vivono di un turismo straniero che non c'è più e che stanno registrando un calo che sfiora l'80% degli incassi.

Diverso il caso dei locali che lavorano fuori dal centro storico, i quali denunciano una riduzione che non supera il 40%. A essere colpite anche le attività che vivono di pranzi di lavoro; un lavoro che si svolge molto più da casa con la formula dello smart working. Ben l'80% delle imprese ha fatto ricorso alla cassa integrazione mentre il 10% dei ristoranti non ha ancora riaperto. Sempre il 10%, dopo aver riaperto a maggio, ha deciso di chiudere in quanto le uscite superano le entrate. Solo il 13% delle aziende ha ottenuto gli aiuti sopra i 25 mila euro. Per quanto riguarda gli incassi, il 50% degli imprenditori ha registrato perdite tra il 50 e l'80%.

Il 30% ha perso più del 40%. Solo il 20% meno del 40%. Sei imprenditori su 10 non hanno modificato giorni e orari. Gli altri, invece, hanno deciso di rimanere chiusi o a pranzo o a cena, a seconda del luogo in cui si trovano.

“Agli imprenditori in questo momento manca il credito e sul fronte dei canoni di locazione siamo rimasti al palo - accusa il portavoce del gruppo, Pasquale Naccari -. Tra l'altro non è stato previsto nessun tipo di indennizzo nel caso in cui un locale venisse chiuso per coronavirus. E a oggi stanno ancora arrivando le casse integrazione di maggio. La situazione è drammatica e noi siamo abbandonati a noi stessi, al destino. È una roulette russa rimanere aperti”.

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