Gioacchino Pontrelli

L'artista è a Firenze per una mostra personale alla Galleria Tornabuoni

21 febbraio 2015 19:48
Gioacchino Pontrelli

Da poco è stata inaugurata la mostra personale di Gioacchino Pontrelli alla galleria Tornabuoni Arte - Contemporary Art in via Maggio a Firenze.

In un bel pomeriggio tiepido di sole, seduto sulle scalette della basilica di Santo Spirito, l’artista parla di sé, della sua arte.

Giacchino lei è un artista che lavora molto su ogni quadro, e, giudicando le sue tante opere, forse sta chiuso sempre nel suo studio?

In passato l’ho fatto, c’è stato un periodo che stavo chiuso nello studio dalla mattina alla sera. Ci sono dei momenti in cui uno è meno concentrato nell’esterno e in altre cose. Ora non è così. Ho un figlio e tanti progetti che devo fare. Il tempo è importante, però a volte non è una questione di tempo, è l’incontro felice di un insieme di cose per cui uno è catturato da quello che sta facendo.

Com’è il suo modo di lavorare. Fa prima una ricerca che elabora mentalmente e quando sente che è pronta la riporta sulla tela oppure lavora lentamente per strati fino ad arrivare a un qualcosa che rappresenta la sua idea?

Assolutamente un work in progress, metto dei segni lentamente.

Fa degli schizzi?

No. A volte immagino quello che voglio rappresentare, ma è sempre legato a un fatto visivo. Tutto l’aspetto emozionale è molto legato a ciò che vedo. Immagino le cose. Metto su un quadro quelle che mi emozionano, che mi servono per creare un mondo mio personale, in cui mi ci riconosco.

Inizia dalle figure o dalle zone astratte?

In genere inizio dalla parte astratta, però è successo anche il contrario.

Quei segni, come texture, che sono impressi nella tela, sono la parte finale del suo lavoro?

No, anzi, in realtà e un mettere insieme le molte cose. Di fatto lavoro sempre nello stesso modo. A periodi non ho disegnato, adesso invece privilegio il disegno. Non mi pongo nessun tipo di schema.

La sua manualità così felice, nel disegnare spazi interni e oggetti, sedie…

Qualche volta può sembrare una condanna, autoreferenziale, quindi, qualcosa che blocca le emozioni e ingabbia tutto. Ma ho fatto pace con questo, non mi interessa più. Non mi interessa più quanto sia figurativo o quanto astratto. O in quale direzione sto andando.

Le sue opere hanno una lettura meditata, di un approfondimento, per entrare nel mondo che lei propone. Le stanze che lei dipinge rappresentano qualcosa di affettivo?

Probabilmente è un qualcosa più legato all’assenza che alla presenza. Tendenzialmente qualcosa di metafisico, molto vuoto. Svuotamento, solitudine. Evidentemente alcuni oggetti, perché poi dipende anche come sono contestualizzati, sono legati ad un mio piacere.

Ha un artista che preferisce?

Sono tanti, ma l’amore storico, che per tanti anni ho amato è Francis Bacon. Adesso mi piacciono tanti artisti giovani, ma ancora tra quelli storici c’è Gerhard Richter. Nei miei lavori non riesco a lavorare in modo estemporaneo. Ci lavoro tantissimo sopra. Anche se poi, con molta fatica, mi separo da ogni quadro.

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