Contagi Covid sul lavoro: più colpite le donne

I numeri fiorentini, l'allarme e le proposte Cgil

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
06 febbraio 2021 12:59
Contagi Covid sul lavoro: più colpite le donne

Firenze, 6-2-2021- Secondo il recente rapporto INAIL appena presentato, i contagi da coronavirus sul luogo di lavoro a livello nazionale hanno ormai superato la soglia dei 131.000 casi.

In questo scenario la Toscana con 7.177 casi rappresenta il 5,5% degli infortuni sul totale nazionale, di questi 5.276 sono donne (73,5%), mentre 1.901 (26,5%) sono uomini. Nel dettaglio della rilevazione dell’INAIL in Toscana le denunce di infortunio causa Covid-19 sono per il 35,4% dei casi localizzate nella provincia di Firenze con 2.538 infortuni, seguita da quella di Pisa con 817 casi (11,4%), Prato con 711 (9,9%), Lucca con 685 casi (9,5%), Massa-Carrara con 596 casi (8,3%), Pistoia con 521 casi (7,3%), Livorno con 506 casi (7,0%), Arezzo con 403 casi (5,6%), Grosseto con 212 casi (3,0%) e infine Siena con 188 casi (2,6%).

La provincia di Firenze, dove si registrano 2.538 casi, di cui 1.828 donne (72%) e 710 uomini (28%), è maglia nera’ in questa triste classifica con un’incidenza del 35,4% sul dato della Regione.

“Come Cgil Firenze - commenta M. Cristina Arba, Resp. Coordinamento Donne Cgil Firenze - da tempo sosteniamo la necessità di introdurre nei Documenti di Valutazione Rischi (DVR) una prospettiva che tenga conto dell'ottica e delle differenze di genere. L'emergenza pandemica ha evidenziato che queste differenze ci sono, sia quelle inerenti al genere che quelle inerenti all'età e alla tipologia contrattuale”.

Elena Aiazzi, membro della Segreteria della Camera del lavoro con delega alla Salute e Sicurezza sui luoghi di lavoro sottolinea: “Purtroppo l’analisi dei rischi e la predisposizione dei dispositivi di protezione continuano a non tenere conto delle diversità di genere. Le donne così pagano due volte gli effetti della pandemia sia in termini di salute che di perdita di posti di lavoro sotto gli occhi di una classe politica che spesso ritiene l’adibizione al lavoro solo un’appendice della attività di cura della famiglia.

Una lettura del report, e del suo trend crescente, la forniscono gli esperti legali che osservano come nel rapporto azienda e lavoratore in materia di Covid vi sia un aspetto di criticità nel rapporto con le ATS, Agenzia di Tutela della Salute: “L’impasse – spiega l’avv. Irene Pudda di Rödl & Partner, esperta in privacy & labour complianceè dovuta al fatto che il datore di lavoro non è autorizzato a comunicare ai colleghi il nominativo di un dipendente risultato positivo.

L’azienda è tenuta a fornire all’ATS le informazioni necessarie perché quest’ultima possa assolvere ai compiti previsti dalla normativa emergenziale e, contemporaneamente, ha facoltà di domandare ai possibili contatti stretti di lasciare cautelativamente i locali aziendali, ma è l’ATS che ha la potestà di contattare i lavoratori per poi applicare le opportune misure di quarantena.”Il rischio, così facendo, è che le aziende lascino operativi interi reparti o uffici con il pericolo di diffusione del virus, non solo tra i dipendenti che sono stati a contatto diretto con il soggetto contagiato, ma anche tra i loro famigliari e i conoscenti.“Tuttavia non si può fare diversamente – chiarisce l’avv.

Pudda di Rödl & Partner La procedura è volta a tutelare la privacy del lavoratore risultato positivo al coronavirus. Certo, come è facile immaginare, procedere alla disinfezione della postazione di lavoro, delle attrezzature utilizzate e degli spazi comuni frequentati dal dipendente, domandare ai possibili contatti stretti di lasciare cautelativamente i locali aziendali, nonché isolare o chiudere gli uffici in cui il dipendente ha lavorato garantendone allo stesso tempo la totale riservatezza è di difficile applicazione.”

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