​Bitcoin: perché i miner sono in fuga dalla Cina?

I miner stanno infatti preferendo alla Cina paesi che prevedono leggi favorevoli nei loro confronti

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
22 agosto 2021 17:50
​Bitcoin: perché i miner sono in fuga dalla Cina?

Nelle ultime settimane il governo cinese ha effettuato una repressione sempre più forte e decisa che ha portato molti miner a interrompere il loro operato all’interno del paese. Sembra infatti che molti di loro abbiano deciso di trasferirsi all’estero, o almeno è quello che affermano molti media del Paese.

I miner stanno infatti preferendo alla Cina paesi che prevedono leggi favorevoli nei loro confronti e anche un minor costo dell’energia elettrica, come ad esempio il Kazakistan, gli Stati Uniti e il Texas. Il fenomeno è di una tale portata che è stato soprannominato “great mining migratrion”, ovvero grande migrazione dei miner. Le cause non sono ancora molto chiare, ma a detta del Global Times è stato fermato già il 90% dell’industria, ed è chiaro quindi che le aziende dovranno necessariamente delocalizzarsi altrove. Ovviamente tutto questo ha delle conseguenze su Bitcoin, sia sul breve che sul lungo periodo.

Cosa fanno i miner

Forse non tutti però sanno cosa faccia esattamente un miner, in quanto molte persone si limitano semplicemente a utilizzare strumenti come Bitcoin Prime per fare i loro investimenti in crypto, oppure utilizzano Bitcoin Code.

Per chiarire le idee, possiamo dire che i miner sono delle imprese o degli individui singoli che utilizzano computer potentissimi per "minare bitcoin". Ciò significa che essi sfruttano la potenza di calcolo di queste macchine per poter convalidare le transazioni in Bitcoin e registrarle su un blocco della blockchain, ovvero il registro pubblico e condiviso sul quale vengono annotate in maniera permanente.

In cambio di ciò si ottengono Bitcoin dal sistema e anche una commissione da parte di chi ha effettuato la transazione. Per arrivare ad avere il diritto di convalida delle transazioni e di conseguenza ottenere la ricompensa, i miner entrano in competizione gli uni con gli altri utilizzando un algoritmo chiamato hash rate. È una specie di gara, in cui chi per primo riesce a risolvere l’algoritmo vince.

Per risolvere questo algoritmo sono necessari tantissimi tentativi, e questi aumentano in proporzione al numero di miner che stanno tentando l’impresa. È chiaro quindi che maggiore è la potenza di calcolo di un miner e maggiori saranno le probabilità di vincere la convalida di un blocco di transazioni. Un blocco di questo tipo contiene mediamente 2.000 transazioni e la ricompensa per esso ammonta a 6,25 BTC, ovvero circa 180.000 euro a cui vanno aggiunte le commissioni. Questi blocchi vengono aggiunti alla blockchain ogni 10 minuti e poi il processo riparte da zero.

Perché i miner vanno via dalla Cina

Le aziende che si occupano di questa attività hanno centinaia di computer che lavorano insieme in parallelo per poter aumentare la capacità di calcolo, e molte di queste si sono concentrate soprattutto in Cina, in particolare in alcune province in cui il costo dell’elettricità è minore.

Negli ultimi tempi, però, la redistribuzione geografica di questa attività è stata sotto gli occhi di tutti, non a caso in alcune regioni come ad esempio la Mongolia il governo aveva presentato già a marzo un piano per sospendere completamente tali attività. Le aziende hanno quindi subodorato il periodo difficile che si stava per presentare, e hanno deciso di abbandonare il paese.

È chiaro quindi che questo ha avuto una enorme ripercussione su Bitcoin stesso, che dal mese di maggio ha cominciato a vedere il suo prezzo diminuire sempre più vistosamente, sia per le decisioni e le repressioni messe in atto dal governo cinese, sia a causa della decisione di Tesla di non permettere più l’acquisto delle proprie auto in Bitcoin.

I potenti computer e quindi gran parte dell’attività dei miner stanno migrando in paesi come ad esempio gli Stati Uniti, dove al momento non ci sono regole volte a limitare l’attività di queste imprese e dove quindi queste sono destinate a proliferare.

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