Bagni pubblici: Palazzo Vecchio li vuole aperti, ma chiede lo scontrino

​Riguardo la gestione dei bagni pubblici Firenze fa scuola, o meglio giurisprudenza. Però la memoria è corta

Antonio
Antonio Lenoci
11 luglio 2016 15:34
Bagni pubblici: Palazzo Vecchio li vuole aperti, ma chiede lo scontrino

A Firenze, per usare il bagno pubblico occorre pagare, anche in Palazzo Vecchio, che nel 2008 ha imposto agli esercenti di aprire i bagni a tutti, oggi si chiede lo scontrino della caffetteria. Cosa è cambiato dopo la sonora batosta arrivata dal TAR 8 anni fa? Nel 2006 Firenze avvia un percorso di partecipazione per creare un nuovo regolamento riguardo la somministrazione al pubblico di alimenti e bevande. Nel 2010 il capoluogo toscano finisce sulla cronaca nazionale e diventa monito ed elemento di paragone per tutte le città turistiche d'Italia.

Perché? Perché il TAR della Toscana annulla l'obbligo di aprire le porte dei bagni dei locali "a chiunque ne faccia richiesta", così recitava l'articolo previsto dal regolamento della Polizia Municipale del Comune di Firenze. Confcommercio si oppone e ricorre, il giudice sancisce che il bagno può essere usato solo dal cliente che effettua una consumazione. Palazzo Vecchio perde, e paga le spese: 3000 Euro.Cosa abbiamo imparato dopo 10 anni dal percorso partecipativo?Non tutto l'intervento del TAR finisce sulle prime pagine, e forse neppure tra le brevi.

Proviamo allora ad analizzare assieme tutti i passaggi di una Sentenza divenuta storica, ma conosciuta da pochissimi, tenendo presente che nel 2016, nonostante tutto, durante le trattative che sarebbero avvenute preliminarmente all'apertura di uno Store Mc Donald's in piazza Duomo il sindaco avrebbe richiesto alla nota catena la disponibilità di fornire i servizi igienici a tutti, non solo alla clientela.In 10 anni però è proprio Palazzo Vecchio ad aver predicato bene e razzolato male, visto che oggi il cartello "Toilette" presente all'interno di Palazzo Vecchio recita: "Bagno riservato ai visitatori del museo e ai clienti della caffetteria muniti di relativo biglietto/scontrino".Nel 2006 il Comune di Firenze, intenzionato a redigere il Piano della distribuzione e localizzazione della funzione di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, coinvolge nei quattro riunioni alcune associazioni di categoria, tra le quali Confcommercio.

Nel 2008 Palazzo Vecchio adotta il Piano, che viene approvato dal Consiglio Comunale di Firenze con deliberazione del 24 luglio: nell'art. 22 e successivamente nell’art. 29 del Regolamento di Polizia Municipale “Norme per la civile convivenza in città”, approvato lo stesso giorno, si prevede l’obbligo, in capo agli esercizi di somministrazione, di fornire i servizi igienici di cortesia al pubblico in generale, cioè a chiunque ne faccia richiesta, a prescindere dalla sua qualità di cliente dell’esercizio.Nel 2008 Confcommercio e Fipe fanno ricorso al TAR per l'annullamento degli articoli: la contrarietà è legata ai problemi gestionali ed igienici connessi all'obbligo, infatti l’art.

22, comma 2, del Piano, prescrive la manutenzione e la pulizia dei locali durante tutto l’orario di apertura al pubblico dell’attività. Quel "chiunque ne faccia richiesta" non piace affatto agli esercenti che nel loro ricorso parlano di "eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, in quanto nel caso di specie non sarebbe stata svolta dal Comune di Firenze nessuna procedura di concertazione, ma solamente una mera consultazione di alcune associazioni di categoria, in un avanzato stadio del procedimento e con un atteggiamento di netta chiusura del Comune; quest’ultimo non avrebbe, poi, dato atto di un approfondimento delle ragioni contrarie addotte dalle associazioni".Si tratterebbe secondo i legali delle categorie coinvolte di un "obbligo gravosissimo soprattutto per i piccoli e medi esercizi di somministrazione del Centro storico di Firenze, nel quale i flussi turistici sono elevatissimi".

L'accusa si sintetizza infine così: "La P.A. avrebbe “scaricato” sui privati la fornitura di un servizio pubblico che essa ha deciso di non erogare e, per di più, a condizioni ben più onerose per il fornitore privato di quanto il servizio de quo viene erogato dall’Amministrazione".Il giudice ritiene "fondata la doglianza dell’assenza di una previsione di rango primario che dia adeguata copertura all’obbligo imposto dal Comune a carico degli esercizi di somministrazione".

Palazzo Vecchio viene persino richiamato dal magistrato amministrativo: "L’erogazione dello stesso servizio da parte del Comune (tramite la predisposizione di bagni pubblici) è onerosa e non gratuita. In altri termini il Comune di Firenze pretende di imporre ai privati di rendere a titolo gratuito una prestazione che, allorché venga resa dal Comune medesimo, è, invece, a titolo oneroso. L'imposizione di un tale obbligo risulta irragionevole e sproporzionata, anche in ragione dell’omessa previsione di meccanismi compensativi dell’onere economico che i suddetti esercizi si trovano, indubbiamente, a dover sopportare per effetto dell’obbligo stesso".Ma c'è di più "Le argomentazioni difensive del Comune - scrive il TAR - che taccia di miopia i ricorrenti, evidenziando come la misura vada nella direzione di un miglior servizio ai consumatori e perciò valorizzi l’offerta turistica complessiva, a vantaggio anche degli esercizi di somministrazione, non possono essere condivise.

È, infatti, del tutto ipotetico sostenere che il numero di quanti fruiranno dei servizi igienici senza consumare sarà più che compensato dai clienti che, invece, consumeranno senza fruire dei predetti servizi, avendo già utilizzato quelli di altro esercizio. Non ci sono indagini statistiche che confermino una simile illazione, la quale trascura completamente le difficoltà in cui potrebbero trovarsi singoli esercizi di somministrazione, in specie se ubicati nel Centro storico, ove si verifichino improvvisi sovraffollamenti nel locale per l’afflusso di gruppi di turisti, che chiedano di fruire dei servizi igienici senza, però, avere intenzione di consumare".Il Giudice non lesina richiami: "Quanto al preteso vantaggio che per ogni operatore si produrrebbe in forza del beneficio di immagine derivante a tutta la città dall’adozione della misura contestata, anche in questo caso si tratta di un ragionamento ipotetico e che non tiene conto del fatto che ben maggiori vantaggi in termini di immagine possono derivare da altri fattori, quali la pulizia, la manutenzione e la sicurezza delle strade, la massima disponibilità nella fruizione dei monumenti e dei servizi museali, la puntuale cura e conservazione dei medesimi, ecc".Il TAR cita anche il Comunicato Stampa del Comune, risalente al 25 luglio 2008, nel quale l’obbligo viene così descritto “un modo per evitare il pullulare in città di servizi pubblici che, se in gran numero, tali, cioè, da soddisfare le esigenze della cittadinanza e dei turisti, rappresenterebbe un impatto estetico negativo e comporterebbe difficoltà di gestione”.

Il collegio giudicante composto da Maurizio Nicolosi, Bernardo Massari e Pietro De Berardinis conclude che: "E' evidente che il Comune, alle prese con il problema di conciliare la garanzia di un servizio pubblico e l’esigenza di preservare il decoro estetico (pregevolissimo) della città, si è liberato delle relative responsabilità, “scaricando” le incombenze connesse al servizio in discorso sui privati e così evitando di doversene far carico. In tal modo, risultano però obliate eventuali soluzioni alternative, che non riposano certo soltanto sulla predisposizione dei “bagni chimici” di difficile compatibilità estetica con la città di Firenze".Nel 2016 i cittadini lamentano la presenza di intere aree destinate ad orinatoio a cielo aperto, mentre la continua valutazione delle esigenze connesse alla Movida notturna ha portato ad interventi mirati con allestimenti temporanei.

A distanza di 10 anni da quella "concertazione", a che punto è Firenze? 

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