Cognome della madre ai propri figli è un diritto, condannata l'Italia

La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha condannato l'Italia perché nega il diritto a dare ai figli il cognome della madre, imponendo invece quello del padre

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
07 gennaio 2014 15:28
Cognome della madre ai propri figli è un diritto, condannata l'Italia

Italia condannata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. E' di oggi la notizia che la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha condannato l'Italia perché nega il diritto a dare ai figli il cognome della madre, imponendo invece quello del padre. "Il cognome della madre ai propri figli è un diritto. A dirlo è la Corte europea dei diritti dell'uomo che boccia il nostro Paese. Sono d’accordo. Lo Stato adegui la legislazione. Buttiamoci dietro le spalle questi vecchi retaggi sessisti" lo scrive il governatore della Regione Toscana Enrico Rossi sui Social. L'opinione di Aduc Firenze - "Come sempre, quando la politica non decide (e la nostra è maestra in questo) è un giudice a imporci il rispetto dei diritti civili.

E' accaduto e sta accadendo sulla situazione disumana delle carceri e della giustizia penale, sulla legge elettorale. E' accaduto e accadrà in futuro sulle coppie omosessuali, sull'autodeterminazione, sulla privacy e cosi' via. La questione del cognome materno non è certo nuova. Questa Associazione ha avuto modo di denunciarla da tempo, oltre a farsi promotrice di disegni di legge in collaborazione con alcuni parlamentari in passate legislature. Ovviamente, senza alcun risultato utile. Chi scrive ha vissuto anche personalmente i danni - seppur non paragonabili a quelli prodotti da altre violazioni del diritto umanitario da parte dell'Italia - di questa arretrata normativa: mia figlia è nata negli Stati Uniti ed ha assunto il doppio cognome del padre e della madre.

Quando è avvenuta la registrazione della nascita in Italia, il cognome della madre è stato depennato d'autorità dall'anagrafe italiana. Con il risultato che mia figlia ha oggi due passaporti, uno statunitense ed uno italiano, con due cognomi diversi. Una chiara violazione del diritto all'identità, peraltro sancito non solo dalla Convenzione Europea sui diritti dell'uomo, ma anche dalla nostra stessa Costituzione. Le liberaldemocrazie (anche impropriamente dette “occidentali”, per intendersi) si differenziano dalle altre sedicenti democrazie (Iran, etc.) proprio per il rispetto che offrono ai diritti individuali, mettendoli al riparo dal legislatore e quindi anche dalla volontà della maggioranza degli elettori.

Generalmente lo fanno attraverso le costituzioni, leggi fondamentali che sanciscono diritti cosiddetti inviolabili, tra cui la libertà di espressione e di stampa (senza cui le elezioni sono ritualità di autolegittimazione del potente), la libertà di religione, l'uguaglianza di tutti i cittadini dinnanzi alla legge senza discriminazione per sesso, razza, religione, opinione. Ma i diritti non sono statici, e non sono solo quelli che il Costituente aveva espressamente elencato quasi settant'anni fa.

Come non sono solo quelli elencati nelle Convenzioni internazionali, che rispecchiano solo quei diritti su cui in un determinato momento storico si ritengono inviolabili. Non a caso, le Costituzioni e le Convenzioni sui diritti dell'uomo spesso sanciscono questi diritti in modo aperto, indefinito, dando poi all'interprete la possibilità di adeguarne ai tempi la lettura (ad esempio, l'articolo 2 della Costituzione recita “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”, senza poi elencarli.

E' stata poi l'opera del legislatore, del Governo e della Corte costituzionale a indicare nuovi diritti quali inviolabili). Se l'Italia vuole rimanere tra le democrazie liberali, è necessario che continui ad aggiornare continuamente questo elenco di diritti, anche attraverso un lavoro di comparazione con le altre liberaldemocrazie. Negli ultimi venti anni non solo questo non è stato fatto se non raramente e solo su spinta di provvedimenti giudiziari, ma addirittura si negano diritti che l'Italia stessa aveva detto di riconoscere decenni fa aderendo alla Convenzione europea sui diritti dell'uomo e prima ancora in Costituzione.

Banalmente, in questo caso, la parità tra uomo e donna. La giustizia, interna e internazionale, può correggere, spingere, incoraggiare il legislatore di una democrazia liberale a rimanere al passo. Ma non può certo sostituirvisi. Se la politica non riprende coraggio e forza sul tema dei diritti individuali, questo Paese è destinato ad essere espulso da quella parte di comunità internazionale cui fieramente diciamo di appartenere. E a pagarne le conseguenze, come sempre, saranno gli individui i cui diritti vecchi e nuovi continueranno ad essere negati.

Che ciò avvenga nel nome di qualche emergenza o della volontà della maggioranza, francamente, non fa alcuna differenza". "La sentenza della Corte europea dei Diritti umani di Strasburgo obbliga il nostro Paese a compiere un passo avanti nell'attuazione delle pari opportunità nel nostro Paese. Stabilendo che i genitori hanno il diritto di dare ai propri figli anche il solo cognome della madre e condannando l’Italia per aver negato a una coppia tale diritto, i giudici hanno imposto un principio chiaro a tutela delle donne". E' quanto ha dichiarato la senatrice fiorentina Rosa Maria Di Giorgi. "Dispiace solo che - conclude la senatrice Di Giorgi -, per ottenere il rispetto di un diritto sacrosanto sia dovuto intervenire il tribunale di Strasburgo, con una sentenza in cui si indica che il nostro Paese dovrà adottare riforme legislative o di altra natura nei prossimi tre mesi, per rimediare alla violazione riscontrata".

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