Arte contemporanea cinese, fra un’anacronistica Arcadia e una cauta osservazione sociale

In occasione dei 45 anni dalla ripresa dei rapporti diplomatici Italia-Cina. Si chiude oggi alla Fortezza da Basso, Costante Cambiamento: il nuovo realismo nella pittura cinese, la mostra sull’arte contemporanea cinese.

17 febbraio 2015 11:41
Arte contemporanea cinese, fra un’anacronistica Arcadia e una cauta osservazione sociale

FIRENZE - L’arte, per essere utile all’umanità, dovrebbe portare in sé un’anima concettuale che arricchisca la parte puramente estetica, e soprattutto raggiunga il cuore e la mente di chi l’osserva, stimolando il pensiero critico sulle dinamiche della società, in particolare di quella contemporanea, affetta da contraddizioni e problematiche d’ogni genere.

La Cina è una consolidata potenza di caratura globale, che soltanto nell’ultimo quarto di secolo ha iniziato ad aprirsi al resto del mondo. Restano tuttavia ampie zone grigie, dovute la sistema politico autoritario, e a un sistema economico violentemente capitalista, che ha dato luogo a forti sperequazioni sociali, nonché a un indiscriminato sfruttamento delle risorse ambientali e della forza lavoro.

Un clima complesso, fra lo splendore dei grattacieli di Shanghai, e gli agglomerati industriali dell’interno, che si presterebbe ad approfondite riflessioni critiche. Non sempre ciò accade, come si evince dalla mostra Costante Cambiamento: il nuovo realismo nella pittura cinese, che si propone di aprire una panoramica sul discorso artistico in Cina. Difficile aspettarsi obiettività, quando l’Accademia di Sichuan (dove si sono formati gli artisti in mostra), è controllata direttamente dal Partito Comunista Cinese, e ad esso completamente asservita; molte delle tele visibili a Firenze affrontano soltanto una debole e poco originale ricerca di carattere estetico.

La storia, a volte si ripete, beffarda testimone della sconsolante lentezza con la quale evolve la capacità di pensiero della massa. Ma andiamo con ordine. Con sottile sagacia politica, nel XVII Secolo, la Curia romana incoraggiava alacremente l’Arcadia, circolo letterario ante litteram con pretese di impegno intellettuale, in realtà caratterizzata da una nauseante retorica e inutili esercizi di stile. L’agone ideale per distrarre eventuali velleità intellettuali dirette a mettere in discussione il sistema politico papalino. E la storia si ripete, perché di Arcadie ne sono fiorite a migliaia nel mondo, e ancora, purtroppo godono di buona salute. A Sichuan assistiamo a qualcosa di simile, fra panda in equilibrio su rose gigantesche, logore imitazioni di Pollock e dell’iper-realismo di Botero, e dignitosi dipinti floreali sullo stile dell’impressionismo di Turner.

La Cina non si mai distinta per fantasia creativa, lo dimostra la fiorente industria del falso sviluppatasi ai danni, principalmente, del made in Italy. In arte, accade pressoché lo stesso, con echi ripetitivi del figurativo americano ed europeo.

Osservando le 88 opere dei 38 artisti esposti alla Fortezza, si ha l’impressione di scontrarsi con un’occasione mancata, perché, considerando la complessità del momento politico, sociale ed economico attraversato dalla Cina, l’arte non riesce ancora a liberarsi del tutto dalle briglie politiche. Dietro una tecnica pittorica a tratti anche apprezzabile, si avverte il vuoto concettuale, la tangibile ritrosia ad affrontare un vero dibattito sociale, un ostinato chiudere gli occhi e un’altrettanto ostinata volontà di dipingere una società dinamica e soddisfatta. Virtuosismi formali e cromatici, che spesso tralasciano l’indagine del contesto sociale e dei suoi valori, i quali emergono sporadicamente, e con toni sommessi.

Degna d’attenzione la serie Vagabond Life di Zhao Qing, olii su tela di ritratti femminili, eseguiti con toccante realismo e sensibilità umana oltre che artistica: donne sole, speso seminude, in posizioni che sembrano implorare aiuto, sguardi tristi e profondi. Un possibile riferimento alla piaga dello sfruttamento della prostituzione e alla conseguente riduzione in schiavitù di milioni di giovani donne cinesi, e ancora, più in generale, una considerazione sulla posizione subalterna che le donne rivestono in Cina, soprattutto negli anni della politica del figlio unico, che ha visto, nelle famiglie, aumentare le predilezioni per i maschi.

Huang Kunxiong, invece, affronta la problematica dell’alienazione derivante dalla vita nelle metropoli soffocate dal cemento, attraverso la serie Gray City Section, caratterizzate dall’ossessiva presenza di grigi, sterminati grattacieli, la cui apparente vuotezza sottintende appunto l’alienazione di chi li abita.

Ugualmente caustico Li Ziran, che in Bad news riecheggia il Basquiat più arrabbiato.

Nel complesso, una mostra che appare poco convincente, nel suo porsi come la situazione generale dell’arte cinese contemporanea, anche perché, all’osservatore più attento, non può sfuggire che all’interno di questa panoramica ufficiale, mancano le voci degli artisti dissidenti, anche loro figure della scena contemporanea. Da essi, però, l’Associazione degli artisti cinesi in Italia sembra prendere le distanze, così come da quanto accade realmente in patria, ignorando la corruzione dilagante, e la violazione dei diritti umani, ovvero quegli aspetti che maggiormente si riflettono nella critica espressa dagli artisti dissidenti fra cuii fratelli Gao Zhen e Gao Qiang, e Ai Weiwei. È un’ artista ed attivista cinese impegnato nel sociale e nel dibattito sui diritti umani e di opinione in Cina

Se la politica italiana, a tutti i livelli, dal Comune al Governo, riconosce e accetta l’arte cinese “ufficiale”, è implicito che dall’altra disconosca l’impegno di tutti quegli artisti dissidenti che, a rischio della loro incolumità, denunciano le problematiche della società cinese. Ma oggi, la Cina è la prima potenza economica mondiale, e davanti a un PIL in crescita del 7% annuo, anche le questioni etiche vengono meno, e le uniche considerazioni accettabili sono quelle relative ad attrarre investimenti e promuovere scambi commerciali.

Si può al massimo comprendere l’evento alla Fortezza come operazione di marketing promozionale per gli artisti cinesi, ma si fatica a comprendere la cornice di celebrazione che gli è stata tributata. Il mercato potrà sicuramente apprezzare l’arte cinese contemporanea, ma ben poco vi troveranno i critici e i cultori di quell’arte coraggiosa che porta in sé lo stimolo al dibattito democratico.

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