Acciaio: Rossi ha incontrato i vertici di Jindal a Roma

Alla Sanac di Massa temono l'ipotesi di chiusura dell'Ilva. Kme: rinnovata cassa integrazione: accordo fino al 23 settembre 2020. Vertenza Bekaert: a Figline Valdarno assemblea unitaria lavoratori-sindacati

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
10 novembre 2019 15:43
Acciaio: Rossi ha incontrato i vertici di Jindal a Roma

FIRENZE- "Ci sono buone notizie per la siderurgia in Toscana. Mister Jindal mi ha confermato l'intenzione di investire a Piombino e di rimanerci". Così il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, al termine dell'incontro con il CEO di JSW Steel Sajjan Jindal che si è svolto venerdì a Roma. "Lo scenario del mercato dell'acciaio – continua Rossi – è altamente incerto e per questo JSW vuole sviluppare tutti gli investimenti previsti negli accordi precedenti. A Taranto – sottolinea il presidente – non sono assolutamente interessati ad andare". "Vogliono – dice ancora Rossi – fare di Piombino un impianto moderno e chiedono di essere supportati secondo gli impegni già assunti dal governo relativamente al costo dell'energia. Con la Regione – conclude – confermano spirito di collaborazione positivo che consentirà di sviluppare i progetti per ulteriori investimenti per la città siderurgica della Toscana".

“IL GOVERNO deve eliminare tutti i presupposti contrattuali di rottura per giusta causa, chiedendo con forza ad ArcelorMittal di rispettare gli accordi. Anche perché gli unici che da quest’operazione possono uscirne comunque i vincitori sono proprio in investitori del colosso internazionale: lo saranno se l’acquisto sarà remunerativo e lo saranno comunque con la chiusura di Taranto avendo eliminato dal mercato il più importante polo siderurgico europeo”. Lo sostiene il segretario della Uiltec Toscana Nord, Massimo Graziani, che partendo da questo presupposto economico, analizza poi la situazione di Sanac oggi estremamente critica e “con scarse possibilità di successo”.

Tre le ipotesi: “In caso di dismissione e disimpegno da parte di ArcelorMittal questo vorrà dire il rischio di finire in una posizione di isolamento, se non dovesse essere inserita nel pacchetto Ilva. Nel caso in cui la trattativa si sposti sui tagli lineari proposti lo scenario che si apre nei confronti dei 150 dipendenti Sanac rischia di essere altrettanto di lacrime e sangue. Infine l’ipotesi di mantenimento dell’area a freddo con la conseguente dismissione dell’area a caldo rappresenterebbe la fine per Sanac all’interno del gruppo visto che opera al servizio proprio delle aree a caldo”.

E’ evidente che a questo punto, dopo aver legato per 6 anni il futuro di Sanac a quello dell’Ilva di Taranto, tornare indietro diventa impossibile e l’unica soluzione plausibile nelle mani del governo è quella del ‘tutto o niente’, eliminando però ogni alibi alla multinazionale: “Il Presidente del consiglio, Conte, ha dichiarato che il problema dello scudo penale non esiste e che in realtà è un problema di carattere prettamente economico. I livelli produttivi attuali non coprirebbero gli investimenti con ArcelorMittal che ha già chiesto di tagliare il personale per un totale di 5.000 unità, riducendo di più di un terzo la forza produttiva e occupazionale di Ilva in Italia e del 50% della sola Taranto.

Altra opzione sarebbe quella di conservare sotto il loro controllo l’area a freddo consegnando al governo e quindi ai commissari tutta l’area a caldo, più complessa da gestire in termini di bonifiche e investimenti, anche dal punto di vista giuridico – evidenzia il segretario Uiltec -. Tutte proposte che per il governo italiano sono inaccettabili. E’ anche vero che per Taranto servono investimenti importanti che richiedono tempo e l’iniezione di molti capitali. Gli scenari attuali non sembrano darci molta scelta perché dopo anni di attesa, di gestione ordinaria commissariale senza investimenti, il contratto di affitto di azienda è stato siglato solo 14 mesi fa.

Di mezzo ci sono i mutati scenari economici e produttivi europei e mondiali, i dazi imposti da Trump, la contrazione del mercato europeo, lo stop della locomotiva Germania in termini di automotive e di manifatturiero, hanno fatto il resto”. Scenari complessi in cui si sono inseriti gravi errori politici e strategici “come la modifica dello scudo legale che avrebbe dovuto scadere nel 2023 e si è deciso di anticipare al 2019. Non sarà il vero motivo ma ha fornito l’alibi per la rescissione del contratto.

Eliminiamo tutti i presupposti contrattuali di rottura per giusta causa perché non esiste un piano B – conclude Graziani -, neppure per Sanac. Non c’è più tempo, non ci sono le condizioni”.

KME: RINNOVATA LA CASSA INTEGRAZIONE STRAORDINARIA

Avanti per il futuro degli stabilimenti di Kme in Italia. Venerdì a Roma, al Ministero del lavoro, alla presenza dei coordinatori nazionali Giacomo Saisi, Uilm Uil, Michele Folloni, Fim Cisl, di Claudia Ferri della Fiom Cgil Nazionale con delega dal coordinatore Massimo Braccini, e della Rsu degli stabilimenti di Fornaci di Barga e Serravalle Scrivia, è stata rinnovata la cassa integrazione straordinaria per riorganizzazione fino al 23 settembre 2020.

“Non era scontato considerata la carenza di fondi che ha messo in dubbio fino all'ultimo la proroga – sottolinea il Coordinamento nazionale Fim, Fiom e Uilm di Kme Italy Spa e Hme Brass Italy- Gli ammortizzatori sociali sono stati concessi sulla base di un piano di riorganizzazione per garantire un completo riassorbimento degli esuberi residui e il rilancio delle attività produttive. Un accordo importante in considerazione che ancora oggi nel sito di Fornaci di Barga (Lu) ci sono circa 60 persone che si trovano al massimo degli ammortizzatori sociali e che speriamo vengano riassorbite completamente in azienda il prima possibile, grazie a questo piano di riorganizzazione. Come Organizzazioni sindacali ci auspichiamo che la firma di oggi sia un tassello fondamentale per permettere all'azienda di completare il piano di investimenti con un ritorno in breve tempo alla piena occupazione in tutti gli stabilimenti”.

Venerdì nei locali del circolo Arci Rinascita di Figline Valdarno si è svolta l'assemblea sindacale unitaria Fim Fiom e Uilm dei lavoratori Bekaert per discutere delle novità e degli scenari presentati al tavolo ministeriale. La partecipazione è aperta. La scelta di Bekaert, confermata al Mise il 24 ottobre, di avviare la procedura di licenziamento collettivo rischia di cancellare la storia, prima con il marchio Pirelli, di generazioni di valdarnesi che hanno lavorato fin dagli anni 60 alla produzione della cordicella d’acciaio per gomme “steelcord", una realtà industriale che negli anni 70 contava oltre mille dipendenti, che si sono ridotti nel tempo per una serie di manovre speculative. Nel 2013 Pirelli cedeva la fabbrica di Figline alla multinazionale belga, in quel passaggio i lavoratori pagavano i primi 53 esuberi, mentre la Bekaert otteneva il monopolio dello steelcord sul mercato; nella stessa occasione il Governo sanciva un accordo con Bekaert per garantire la produzione a tutto il 2017.

Poi a giugno 2018 Bekaert avviava la dismissione dello stabilimento e il licenziamento collettivo dei 318 lavoratori.

"Il Governo Conte ha decantato provvedimenti per bloccare le delocalizzazioni che alla prova dei fatti si sono dimostrati del tutto inadeguati e inefficaci. Inoltre i decreti Salvini limitano gravemente la possibilità dei lavoratori di protestare e esprimere il proprio dissenso -si legge in un documento dei Circoli PRC e del PAP del Valdarno Fiorentino- La vicenda Bekaert è rimasta ferma alle promesse di un anno fa e oggi, allo scadere della cassa integrazione, si ripropone con la sua drammatica urgenza, senza che nessun serio piano industriale sia stato approntato.

La situazione è resa ancora più difficile dalle divisioni che i sindacati presenti in fabbrica hanno da subito dimostrato, presentando proposte contrapposte e mobilitazioni differenziate, persino negli stessi giorni.Chiediamo con forza il rinnovo immediato della C.I.G. per i lavoratori Bekaert; restiamo tuttavia convinti che non possono essere gli ammortizzatori sociali la soluzione e che una chiusura della fabbrica costituirebbe comunque per il territorio una ferita insanabile e vergognosa.

Non possiamo accettare che una ricca multinazionale decida di abbandonare un territorio, dopo aver a lungo lucrato, creando un deserto sociale ed ambientale.È necessario l'impegno delle istituzioni pubbliche, intervenendo direttamente nel rilancio dello stabilimento, del processo industriale o della sua riconversione, anche valutando forme di autogestione dei lavoratori.Saremo presenti a sostenere qualsiasi azione che i lavoratori vorranno mettere in campo, compreso casse di resistenza e siamo pronti a chiamare come PRC e PAP una manifestazione regionale davanti ai cancelli della fabbrica ex Pirelli\Bekaert".

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