Firenze Fiera: il dibattito in Consiglio regionale

Redazione Nove da Firenze
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12 luglio 2007 00:15
Firenze Fiera: il dibattito in Consiglio regionale

Firenze- Sul buco di Firenze-Fiera il procuratore capo aveva aperto un fascicolo sul deficit di quasi 6 milioni nel bilancio 2005 della società partecipata da Comune di Firenze, Regione Toscana, Camera di Commercio di Firenze, Provincia di Firenze, Comune di Prato, Banca Toscana, Camera di commercio di Prato, Cassa di Risparmio di Firenze. Un secondo fascicolo ipotizza la malversazione ai danni dello Stato, circa l'acquisizione di un immobile.
Ieri, presentando la relazione finale all’aula, il presidente della Commissione d’inchiesta su Firenze Fiera spa Alberto Magnolfi (Forza Italia) ha osservato che la Commissione ha fatto un buon lavoro, riuscendo a ritrovarsi su conclusioni unitarie che valorizzano il ruolo di indirizzo e di controllo del Consiglio reginale.

“Abbiamo cercato di evidenziare ciò che non ha funzionato nel sistema – ha detto Magnolfi – perché le responsabilità personali non ci competono e abbiamo esposto solo fatti verificati dalla documentazione esistente”. La Commissione è partita dall’evidenza di bilanci di Firenze Fiera fortemente negativi, mettendoli a confronto con le altre società fieristiche italiane, per capire se le cause potevano essere ricercato in una congiuntura di mercato negativa. Non è così: mentre Firenze Fiera perdeva, le altre società aumentavano il fatturato e producevano utili.

Ripercorrendo la storia della società negli anni, ha proseguito Magnolfi “si evidenza la presenza di un consiglio di amministrazione pletorico e ultralottizzato e la concentrazione di poteri in mano a un’unica persona. Caso, questo, assai singolare per una società a partecipazione pubblica”. Firenze Fiera secondo il presidente della Commissione d’inchiesta presentava gravi deficit di informatizzazione, mancavano figure tecniche fondamentali, politiche di marketing: insomma era un’azienda “ben al di sotto del livello accettabile di gestione anche per un’impresa familiare di medie dimensioni”.

Magnolfi ha poi citato la vicenda dell’acquisto di un magazzino, poi scarsamente utilizzato, a 4 milioni e 475 mila euro, da una società che lo aveva a sua volta acquistato lo stesso giorno, ma a una cifra inferiore di 600-700 mila euro. Ancora, la vicenda della strutture temporanee, allestite e poi lasciate in funzione, fino all’intervento della magistratura, “in spregio a qualsiasi normativa e decoro”. “La vicenda di Firenze Fiera ci dice tutto ciò che una società partecipata non deve essere – ha concluso Magnolfi -.

Ci dice che se da parte degli enti pubblici non ci sono scelte e strategie chiare si aprono spazi per avventure, per iniziative confuse e per successivi risultati onerosi per le finanze pubbliche. Il potere politico deve fare le strategie e la gestione va affidata a chi è in grado di farla. La capacità manageriale non è né di destra né di sinistra”.
Il portavoce dell’opposizione Alessandro Antichi ha espresso apprezzamento per il lavoro della Commissione “che rende onore al ruolo di quest’assemblea” e ha sottolineato che devono essere rafforzati i ruoli di controllo e dell’opposizione, perché questo significa rafforzare la democrazia.

“Adesso – ha proseguito – aspettiamo per vedere come la Giunta intende muoversi rispetto alle conclusioni della Commissione d’inchiesta, e per vedere se la maggioranza intende limitarsi a una presa d’atto notarile o trarne conseguenze puntuali e generali”. Secondo Antichi è da vicende come queste che si evincono i veri costi della politica: “bilanci inspiegabilmente in perdita, incarichi esterni di dubbia utilità che si ritrovano in molti casi dimostrano che l’esistenza di un sistema malfunzionamente che crea costi per i cittadini e vantaggi indebiti per alcuni fortunati”.

Gino Nunes (Ds), vicepresidente della Commissione d’inchiesta di Firenze Fiera, ha affermato di condividere la presentazione puntuale di Magnolfi ma non l’intervento di Antichi “che si scosta parecchio dall’analisi dei fatti”. Nunes ha inoltre ricordato che su Firenze Fiera non ha indagato solo la Commissione consiliare, ma anche l’assessorato si è mosso da tempo. Se si deve trarre una valutazione dall’accaduto è che “probabilmente non era necessario concentrare tutta l’attenzione nella realizzazione di una grande struttura, ignorando tutti i problemi esistenti.

Si poteva fare altrimenti”. E per il futuro ci sono alcuni insegnamenti anche per il Consiglio, partendo dalla legge sulle nomine e dal rapporto con le società partecipate: il Consiglio deve avere relazioni tecniche puntuali per valutare l’andamento delle società; deve esistete una relazione equilibrata fra amministratore delegato e cda, e per questo il cda deve essere ristretto, senza riproporre le frantumazioni e la mancanza di indirizzi della politica; serve una missione chiara, in cui si valutano attentamente i costi e le possibilità di ripiano a priori, non solamente a consuntivo.
Secondo Marco Cellai (Alleanza nazionale), l’altro vicepresidente della Commissione d’inchiesta, “Firenze Fiera è stata gestita con criteri non adeguati alle società gestite con capitali pubblici”.

Da qui se ne trae la conseguenza che “le società partecipare non possono rimanere senza controllo o fuori controllo. Sono troppi i casi di conti che non tornano: c’è il Cspo, c’è stata l’Agenzia regionale di sanità. Il Consiglio in passato ha fornito indirizzi che dovevano essere monitorati e che non lo sono mai stati”, così come, ha proseguito Cellai, “c’è stato un aumento di capitale senza che la Regione controllasse la destinazione dei fondi stanziati. Ed è possibile che la Regione non sapesse niente delle strutture temporanee costruite senza i minimi requisiti di sicurezza, tanto che i vigili del fuoco si sono rifiutati di rilasciare la certificazione antincendio? E’ assolutamente necessario – ha concluso il consigliere – che ci dotiamo di strumenti di controllo tali da mettere in grado la Giunta e il Consiglio di seguire il lavoro delle società partecipate”.
Le responsabilità di quanto accaduto non vanno imputate solo alla classe politica, ma anche a quella imprenditoriale: questo il giudizio di Erasmo D’Angelis (Margherita), secondo cui i vertici di Firenze Fiera sono stati espressi per insistenza della Camera di Commercio e, ancora prima, di Confindustria.

“A parer mio bene ha fatto la Regione – ha detto ancora D’Angelis – a decidere l’aumento di capitale in un momento di crisi del mercato, a non avere incertezze nell’investire per il rilancio di un polo fieristico metropolitano”. Se a Firenze le cose non hanno funzionato è perché c’erano “una compagine societaria fin troppo articolata, deficit strutturali, infrastrutturali e organizzative che rendevano la società quasi inadeguata alla missione che gli era stata affidata”. Dopo l’innegabile fallimento, oggi c’è la certezza di avere chiuso quella pagina con un piano industriale attentamente valutato.

Rimane, anche secondo il consigliere della Margherita, la necessitò di nuove regole in materia di società partecipate.
“Alcune strategie di Firenze Fiera erano occulte ed occultate, come ad esempio la vicenda dell’Auditorium, e quindi il Consiglio regionale non è stato capace di svolgere il proprio ruolo di controllo ed indirizzo”. Parola di Marco Carraresi (Udc), che ha sottolineato come l’andamento negativo non possa assolutamente essere solo collegato alla crisi congiunturale del settore, quindi ci sono delle responsabilità politiche ben precise e “qualcuno non ha detto la verità”.

“Finalmente siamo arrivati ad una presa di coscienza della situazione, ma questo non basta – ha concluso Carraresi – occorre una presenza maggiore almeno della Regione Toscana, nel senso di esserci, guidare, controllare, indirizzare”. Per Paolo Marcheschi (Fi) l’“ottima” relazione su Firenze Fiera mette un punto fermo ed è giunto il momento di iniziare una fase nuova. “Il compito nostro non è puntare il dito su manager troppo disinvolti – ha detto – ma assumere il ruolo guida e fare davvero un salto di qualità”.

Da qui l’urgenza di chiarire il rapporto tra soci e politica, perché la Regione non può essere la maggiore azionista ed esser chiamata in causa come “utile idiota”. Secondo Marcheschi chi siede nei consigli di amministrazione dovrebbe avere dritte certe da chi li nomina. “Troppo facile lanciare il sasso e poi ritirare la mano – ha commentato – chi ha firmato il mega contratto dell’amministratore delegato, che aveva pieni poteri ed è stato assunto come direttore?”. Eduardo Bruno (Pdci), dopo aver ringraziato il consigliere Magnolfi per la relazione, apprezzandone sia il taglio che la coerenza con il lavoro svolto in commissione, ha affermato che questo atto dà la giusta dignità al ruolo del Consiglio.

“Avrei preferito che questo dibattito fosse collegato al costi della politica – ha affermato – ma è importante focalizzare l’attenzione sulla vicenda della Fortezza Da Basso, che ha ricadute sul piano economico e sull’immagine della nostra regione, per ripartire da qui e fare il punto su tutte le partecipate”, guardando in particolare alla responsabilità di gestione. “Se ci riusciremo – ha concluso – andremo nell’interesse della collettività”. Vittorio Bugli (Ds), invitando a non strumentalizzare né da una parte né dall’altra il lavoro costruttivo della commissione, caratterizzato da indicazioni positive di maggioranza e minoranza, ha richiamato l’intera classe dirigente allargata a dare il proprio contributo, nell’interesse della Toscana.

Per Bugli occorre proseguire sulla strada tracciata e sia il pubblico che il privato hanno il dovere di lanciarsi a giocare questa sfida, direttamente dentro la gestione. Da qui l’urgenza di riflettere sulle modalità con cui ci si può attrezzare al meglio, puntando ad un “format specifico per le società cui partecipiamo, quindi definendone regolamento interno, piano industriale e annuale di business, con resoconto trimestrale al Consiglio regionale sull’attività di gestione”.
“Abbiamo posto il problema già nella passata legislatura e siamo stati tacciati di strumentalizzazione.

In realtà avevamo ragione. Se la Giunta fosse intervenuta tempestivamente, avremmo risparmiato un sacco di denaro pubblico”. Lo ha dichiarato Angelo Pollina (FI), secondo il quale, oggi, sul piano industriale di Firenze Fiera “non ci sono garanzie” e manca il contesto necessario per un rilancio. La struttura della Fortezza, a suo parere, presenta grossi limiti in termini di accessibilità, parcheggi e servizi, mentre la proposta avanzata a suo tempo di separare a livello societario la gestione degli immobili dall’attività fieristica e congressuale “è rimasta inascoltata”.
“Dagli elementi oggettivi raccolti dalla commissione – ha affermato Aldo Manetti (Prc) - emerge che esercitare funzioni di indirizzo è necessario, ma non sufficiente: i limiti sono nel controllo”.

A suo parere una diversa localizzazione, distante chilometri dal centro della città, è una scelta che alimenta molti dubbi. Viceversa, è opportuno chiarire fino in fondo come mai la società “non è riuscita a stare in un mercato che tirava”.
L’assessore al Commercio e turismo, Annarita Bramerini, ha invitato il Consiglio a fare una “riflessione più alta” sulle strategie e gli indirizzi politici delle società partecipate. “Sono tutte strategiche? – ha chiesto – Quali lo sono e quali non lo sono, anche alla luce del nuovo quadro costituzionale?”.

In particolare l’assessore ha rilevato che, per effetto di un “meccanismo perverso”, la Regione Toscana rischia di trovarsi ad avere la maggioranza assoluta in molte di esse per l’impossibilità, da parte degli altri enti locali, di sottoscrivere gli aumenti di capitale, viste le note difficoltà della finanza pubblica. Bramerini ha quindi osservato che il nuovo diritto societario separa in modo molto netto i ruoli di presidente, consiglio di amministrazione ed assemblea dei soci, limitando fortemente le possibilità di intervento della Giunta regionale.

L’assessore ha quindi osservato che il nuovo piano industriale si gioca tutto sull’acquisizione della Fortezza, perché il mercato richiede spazi sempre meno anonimi per le fiere di nicchia. Su questo fronte sono in corso trattative con l’Agenzia del demanio, che è disponibile ad un trasferimento in cambio di altri immobili già individuati ed alla condizione di trattare con un unico soggetto. In questa prospettiva, Bramerini ha anche ipotizzato una possibile divisione dell’attuale società in due: una, pubblica, per la gestione immobiliare; l’altra, privata o pubblico/privata, per l’attività fieristica e congressuale.

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