IX Congresso Usigrai a Tirrenia fino al 14 febbraio
.La relazione del segretario Roberto Natale

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
12 febbraio 2003 20:37
IX Congresso Usigrai a Tirrenia fino al 14 febbraio<BR>.La relazione del segretario Roberto Natale

Il servizio pubblico e la guerra
E’ impossibile aprire questo Congresso senza alzare lo sguardo agli avvenimenti che si svolgono al di fuori della nostra azienda. Il primo momento di riflessione (come cittadini, prima ancora che come giornalisti) deve essere sulla drammatica situazione internazionale, sulla guerra in arrivo, sulle preoccupazioni che attraversano ogni comunità nazionale e sulle forti tensioni fra gli Stati. E’ un quadro rispetto al quale il servizio pubblico non può rimanere indifferente, non può reagire coi modi dell’ordinaria amministrazione.

Se la guerra, ogni guerra, tende ad estendere il regime dei segreti, il servizio pubblico deve sentire l’impegno ad assicurare a tutti, comunque la pensino, il massimo di informazioni, il massimo di copertura internazionale degli eventi, il massimo dei punti di vista che si contrappongono su scelte tanto laceranti. Non si tratta, per la Rai, di dover prendere partito per la pace o per la guerra. Si tratta di garantire il diritto dei cittadini ad essere informati in modo corretto e completo. E’ una frase che usiamo spesso, come giornalisti, ma in questa occasione sono parole che assumono un rilievo ancora maggiore.

Ciascuno di noi, qui, può avere opinioni diverse sulle scelte internazionali. Ma tutti, come giornalisti, concordiamo sul fatto che il servizio pubblico debba essere sul tema con una straordinaria mole di informazione. Per questo giudichiamo grave la scelta annunciata la scorsa settimana dal vertice aziendale di non coprire con la diretta la manifestazione in programma a Roma sabato prossimo. Ancora una volta la Rai si ritrae da un evento politico (come è già successo, con la positiva eccezione di RaiNews24) e lascia ad altre emittenti il compito e l’onore di assolvere ad una funzione di servizio pubblico.

“La7” ringrazia. Non c’entra la condivisione o meno delle ragioni della manifestazione: Giuliano Ferrara ha già dimostrato altre volte come si possa parlare di un avvenimento senza necessariamente esserne simpatizzanti. Chi costringe la Rai al silenzio sta praticando un suicidio, ne sta colpendo la legittimazione stessa. Per questo credo che il Congresso debba far sentire a ciò che rimane del vertice Rai tutta la gravità di questa scelta e chiedere che a questa autocensura si ponga rimedio.

Per questo vi propongo, come nostro primo atto, che il Congresso chieda alla Commissione Parlamentare di Vigilanza sulla Rai, qui rappresentata dal suo Presidente, il senatore Petruccioli, di intervenire su viale Mazzini per scongiurare questo sbaglio. L’opinione pubblica deve sapere che, se ci sarà il silenzio Rai, sarà stato scelto contro la volontà dei giornalisti del servizio pubblico.
Anche questa, purtroppo, è una dimostrazione dello stato in cui oggi versa la Rai.
Non era mai accaduto che un Congresso dell'Usigrai si tenesse in condizioni di così accentuata precarietà dell'azienda.

Da due mesi e mezzo il vertice della Rai è ai minimi termini, per i dissidi che ne hanno segnato la vita fin dall'inizio e che in breve hanno portato a lacerazioni irreversibili. Intanto il servizio pubblico sente avvicinarsi il competitore privato negli ascolti, vede messa in questione di continuo la sua autonomia, vive una fase di preoccupante fragilità finanziaria. Ci sono tutti i motivi per attendersi interventi urgenti. Ci sono tutti i motivi per attendersi un nuovo vertice. Invece la crisi Rai scivola pian piano nella classifica delle priorità politiche ed istituzionali, come fosse una pedina tra le tante di una più complessiva partita fra gli schieramenti e all'interno di ciascuno schieramento.

Tanto subordinata ai tempi e ai passaggi della politica che cominciamo a temere che dovremo pazientare fino alle amministrative. Da quel voto, da quel conteggio delle quote di proprietà fra e dentro le coalizioni, dipenderebbe il tipo di sbocco da dare all'attuale fase di stallo. Ma in questa palude rischiano di affondare le ragioni della Rai come azienda. Non possiamo rassegnarci, almeno noi che in Rai lavoriamo, ad una così palese dimostrazione di disinteresse, ad una così evidente considerazione della Rai come variabile dipendente.

Non possiamo rassegnarci perché siamo convinti che il servizio pubblico non possa reggere a lungo in questa situazione, e dunque il nostro Congresso avrà anche il compito di individuare gli strumenti per contrastare il torpore che sta avvolgendo la vicenda Rai. E tuttavia, per quanto impellenti siano i richiami dell'attualità, sarebbe un errore se su di essi riversassimo in modo esclusivo la nostra attenzione.
L’occasione del Congresso va colta non solo per riaffermare il punto di vista delle redazioni su questa ennesima e più grave fase di incertezza.

Può e deve essere il momento per andare alla radice dei problemi che oggi vive il servizio pubblico, e far sentire le nostre richieste alle istituzioni che proprio in questi mesi (con il Contratto di servizio appena approvato e con la discussione della nuova legge sull’emittenza) stanno prendendo e si avviano a prendere decisioni di grande rilevanza per il futuro della Rai.
Il “ruolo centrale” del servizio pubblico E allora, se dobbiamo e vogliamo andare alla radice delle questioni, la radice è per noi nella necessaria centralità del servizio pubblico.

Non era scontato, perché la parola "centralità" era quasi scomparsa dal linguaggio politico ed istituzionale degli ultimi anni. Ed era scomparsa per una malintesa idea di “modernità” dell’assetto della comunicazione. A riportarla in evidenza ci ha pensato però l’anno scorso la figura istituzionalmente più importante ed autorevole: il Presidente della Repubblica. E’ anche per questo che il saluto che il Congresso gli rivolge è particolarmente convinto. Lo ringraziamo in primo luogo come giornalisti italiani, per la tenacia con la quale ricorda che “la garanzia del pluralismo e dell’imparzialità dell’informazione costituisce strumento essenziale per la realizzazione di una democrazia compiuta”.

E lo ringraziamo non meno come giornalisti del servizio pubblico, per il continuo riferimento alla funzione che la Rai deve esercitare. Ciampi lo ha fatto in numerose occasioni pubbliche e soprattutto, in modo solenne, nel messaggio alle Camere del 23 luglio scorso. Parlando della necessaria legge di sistema, queste sono state le sue parole: “Nel redigere tale legge occorrerà tenere presente, per quanto riguarda la radiotelevisione, il ruolo centrale del servizio pubblico. Il trattato di Amsterdam, che vincola tutti i paesi dell'Unione Europea, muove dal presupposto che il sistema di radiodiffusione pubblica negli Stati membri è direttamente collegato alle esigenze democratiche, sociali e culturali di ogni società, nonché all'esigenza di preservare il pluralismo dei mezzi di comunicazione”.

Parole forti, dissonanti rispetto ad uno “spirito del tempo” per il quale il servizio pubblico, ogni servizio pubblico, ha a che fare con gli sprechi, con le nostalgie passatiste, con l’incapacità di vedere i benefìci del mercato. E invece no: quando parliamo della Rai, dei suoi assetti, delle sue dimensioni, maneggiamo materie delicate ma fondamentali come la democrazia e il pluralismo. Oggi possiamo ripeterlo con minore esitazione, e senza complessi di arretratezza, visto anche il consenso larghissimo - almeno in superficie - che ha accolto il messaggio presidenziale.

Le parole del Presidente della Repubblica ci ricordano che non siamo soli nel duro confronto in atto sull'assetto delle istituzioni e sul ruolo degli istituti di garanzia nella comunicazione.

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