Nino D’Angelo in un testo di Raffaele Viviani, da martedì 11 a domenica 16 febbraio (ore 21.00 ) al Teatro Puccini

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
10 febbraio 2003 06:59
Nino D’Angelo in un testo di Raffaele Viviani, da martedì 11 a domenica 16 febbraio (ore 21.00 ) al Teatro Puccini

Un Viviani assolutamente pessimista per certi versi che trova l’unico bagliore di luce e di speranza nell’evocazione di una natura assolutamente tragica e immutabile si, ma autentica e non camuffabile. Nino D’Angelo, amato emblema di spontaneità popolaresca e di fiabesca rivincita, compenetra il testo con la sua gestualità esasperata ed astratta, giullare scanzonato ed evanescente, veicolo di sottintesi e complicità, un po’ Charlot partenopeo, seppure guascone ed invadente: una prova d’attore di assoluta rilevanza.
Con “L’ultimo scugnizzo” (la commedia con cui Viviani conquistò definitivamente Milano nel 1933) creava un altro dei suoi famosi personaggi: quell’Antonio Esposito che “cresciuto alla scuola della strada, dove si passa senza esami” sente, nell’imminenza di essere padre, la responsabilità di trovare un’occupazione qualsiasi, che gli permetta di sposare la ragazza ch’è stata sua e far si che il neonato abbia uno stato civile.

La sua necessità d’inserirsi nella società, che lo ha “lassato” da bambino, lo porta ad entrare in casa di un avvocato filisteo, e a coprire tutte le storture di una famiglia, piccolo-borghese, immoralista e bigotta. Egli è consapevole tuttavia di macchiarsi la coscienza onde sbrigare le pratiche “pulite e sporche” che il suo benefico sfruttatore gli affida. Ma il figlio gli muore appena nato; e Antonio, nel suo schianto invoca un impossibile ritorno all’infanzia. E’ la tragedia dello scugnizzo.

Egli è un “bambino sacro”.
Il lirismo vivianesco splende alto (oltre che nel finale della commedia) in un secondo atto corale, notturno, dove i compagni di “’Ntonio” - ormai uomini sistemati” - si ritrovano, in un ritorno festoso di memoria; che si concreta in voci e canti e gridi da marciapiede dove gli scugnizzi lasciavano la notte le loro persone “incustodite... e ‘a matina appriesso ‘ ttruvavemo llà”.
E’ un contrappunto di mielismi della più lucente suggestione, è la “Rumba degli scugnizzi”, adesione morale agli “spirituals” negri, che Raffaele Viviani crea con uno dei suoi piu’ icastici e surreali ritmi giullareschi.
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