Incontro con il regista Marco Bellocchio, domani (ore 18.30) all'Hotel Flora, via Cairoli a Prato

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
03 luglio 2002 12:31
Incontro con il regista Marco Bellocchio, domani (ore 18.30) all'Hotel Flora, via Cairoli a Prato

Alle 21.30 al Castello dell’Imperatore proiezione del film "L’ora di religione" e, al termine della proiezione il regista incontrerà il pubblico.
Ernesto, ex comunista ed ancora profondamente ateo, si ritrova nell’incubo della beatificazione della madre, procedura richiesta dai suoi fratelli. E come se non bastasse, suo figlio vuole frequentare a scuola l’ora di religione per non sentirsi diverso. L’unico spiraglio di luce arriva ad Ernesto dall'improvviso innamoramento per Diana.

Sarebbe facile leggere L'ora di religione come un'allarmata disamina del fondamentalismo che ha rotto gli argini in tutto il mondo; se più di due terzi del pianeta credono in un dio, qualche ragione ci sarà, è l'argomentazione che viene offerta dal parente più cinico e calcolatore, interpretato da una Piera Degli Esposti che galvanizza in una sola sequenza un personaggio indimenticabile. Ma la verità è che Bellocchio non è interessato alla denuncia dell'aggressività dei nuovi volontari di santa romana chiesa o dell'ambiente politico che costituisce il suo fisiologico humus, più di quanto lo sia a trasmettere l'oscura e densa sensazione di isolamento ed emarginazione che prova chi non è connivente con il nuovo formidabile marketing dell'oppio dei popoli.

Ogni obiezione è oggetto di scandalo e censura, ogni dubbio inopportuno, ogni ironia scatena manovre punitive.
Marco Bellocchio esordisce nella regia nel 1965 con I pugni in tasca, ritratto dissacrante e grottesco epitaffio dedicati all'istituzione della famiglia. Due anni dopo continua a mettere sotto accusa i mali della società borghese, senza trascurare critiche nei confronti dei falsi rivoluzionari in La Cina è vicina (1967). Considerato uno dei registi italiani più politicamente impegnati, negli anni '70 si spinge nell'interno delle istituzioni per denunciarne violenze, soprusi ed ingiustizie.

Un collegio (Nel nome del padre, 1972), il manicomio (Matti da slegare - Nessuno o tutti, 1975), o l'ambiente militare (Marcia trionfale, 1976). A metà degli anni '80 si fa affiancare dal suo psicanalista Massimo Fagioli durante la lavorazione de Il diavolo in corpo (1986). In seguito, sempre con Fagioli, si avvia verso un lungo periodo di esplorazione cinematografica dell'inconscio. Nel 1997 porta sullo schermo un testo di Heinrich von Kleist, Il principe di Homburg (presentato al Festival di Cannes) con cui riscuote un grande successo di critica e di pubblico, riconfermandosi regista lucido, rigoroso e appassionato.

Successo ugualmente destinato ad un'altra trasposizione cinematografica, stavolta di Pirandello (La balia, 1999).

In evidenza