Il mito di Luigi Pirandello al TEatro della Pergola (12/17 febbraio )

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
07 febbraio 2002 19:12
Il mito di Luigi Pirandello al TEatro della Pergola (12/17 febbraio )

L’opera incompiuta di Luigi Pirandello portà con se da sempre l’alea di un mistero ineffabile, un richiamo ineludibile alla posterità. Pensare ai Giganti della montagna è inevitabilmente riflettere in profondità sul "fare teatro", e su quanto questo "fare" trovi oggi ascolto tra le disillusioni, il cinismo, la crudeltà che il "nostro tempo” impone e a cui nessuno sa sottrarsi.
Cotrone e la sua "corte" diventano degli autoesclusi-borderline rifugiati in una villa-fortezza che, come una diga, li difende dal mondo esterno: "siamo agli orli della vita" dice Cotrone alla Compagnia della Contessa invitandoli a restare in quel luogo sospeso, fuori dal rumore e dalle regole della società che li circonda.


La Compagnia, isola inaccessibile, emblema di un’arte sempre più avulsa dalla realtà, insieme di ectoplasmi colti nel momento finale di un calvario durato troppo e destinati a scomparire, esita, annaspa fino all’arrivo del Giganti e alla scelta finale di Ilse di rappresentare la Favola del figlio cambiato.
Non è facile oggi, non è forse giusto scegliere tra gli Scalognati e la Compagnia: capirne le ragioni sì, guardarli affettuosamente nel loro percorso parallelo in attesa di un incontro, di una riconciliazione che non ci sarà.


Spettacolo del disincanto ma fortemente e caparbiamente ottimista nella sua volontà di credere ancora al rito catartico della rappresentazione rimane sospeso tra favola e realtà, come Pirandello del resto ci indica. La vicenda prende corpo allo stesso modo in cui prendono corpo i fantasmi evocati da Cotrone nella stanza delle apparizioni.
Nel presente allestimento, la solennità dell’interpretazione di Mariano Rigillo abita insieme agli accenti di sofferenza sentita e di profonda commozione di Anna Teresa Rossini una struttura scenografica emisferica, girevole e grigia, che simboleggia la villa del forzato esilio dei Giganti.

La regia di Panici tende a preservare l’estrema compattezza del testo, che paradossalmente deriva dalla sua stessa incompiutezza. Nell’assecondarne le suggestioni favolose, ne mantiene tutta l’austerità, senza mai perdere il senso reale della dialettica.

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