Robert Lepage e la sua sconvolgente “detective story” metafisica: dopo la prima di “Polygraphe”.

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
17 marzo 2000 14:35
Robert Lepage e la sua sconvolgente “detective story” metafisica: dopo la prima di “Polygraphe”.

Che il regista quebecoise, nonostante la relativa giovane età, fosse attualmente uno dei maggiori registi sulla scena internazionale, era una certezza che ha indotto direzione artistica del teatro Rifredi a portare a Firenze l’ormai famoso spettacolo “Polygraphe”, il cui testo fu scritto dal regista e dall’attrice sua collaboratrice Marie Brassard negli anni ’80 e sviluppatosi nel tempo come un proprio work in progress, da lavoro di improvvisazione teatrale a sofisticatissimo spettacolo multimediale.

La prima di ieri sera (l’opera è in scena fino a sabato 18 marzo) ha dato un saggio delle capacità e delle intuizioni del regista come visionario e assemblatore di linguaggi. Lo spettacolo infatti offre una rielaborazione, da parte del regista, di temi e materiali che testimoniano i molteplici interessi e le pluralità di forme espressive: il suo amore per i classici e Shakespeare in particolare, l’attenzione per l’essenzialità e la gestualità dell’arte giapponese, la passione per l’intreccio, sentimentale e investigativo insieme, la predilezione per la musica, la tecnologia e il cinema (Lepage è conosciuto anche per il suo talento cinematografico, basti pensare ai film “Il confessionale”, premiato a Cannes, “No”, girato utilizzando il materiale dello spettacolo “I sette bracci di Ota”, oltre ad aver curato il tour di Peter Gabriel “Secret World Tour”).

Lo snodarsi della trama fra finzione realtà dà il senso della complessità e dell’armonia formale della rappresentazione, che affascina lo spettatore e lo tiene incollato davanti ad un’apparente fluire illogico di 22 scene modellate su immagini cinematografiche. Lepage è soprattutto bravo a manipolare i simboli che si rincorrono durante i 100 minuti di durata dello spettacolo: il muro rosso che attraversa tutta la scena, emblematico delle fratture fra uomini e degli ostacoli che ci separano dalla realtà, i diversi punti di vista, sottolineati dalle immagini cinematografiche, che fanno percepire la realtà in mille modi.

L’atmosfera gotica dell’ambiente scenico si modella alla perfezione sulle doti artistiche e plastiche dei tre attori, Nestor Saied, Stefania Rocca e Giorgio Pasotti, interpreti e attori di una macchina spettacolare e tecnologica impeccabile che riesce a creare effetti cinematografici quali stacchi di inquadratura, montaggi, dissolvenze e riprese dall’alto.

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