Lo spettro dell’IVA incombe sulle associazioni del terzo settore

Preoccupa l'associazionismo la nuova applicazione dell'imposta

Roberto
Roberto Onorati
09 dicembre 2021 13:29
Lo spettro dell’IVA incombe sulle associazioni del terzo settore

Preoccupazione fra le associazioni non lucrative per l’approvazione di un emendamento, nella conversione del Decreto Legge fiscale al Senato, che impone alle associazioni, dal 1 gennaio 2022, di essere assoggettate al regime IVA, pur non svolgendo alcuna attività commerciale. Infatti, l’emendamento abroga le disposizioni (contenute all’art. 4 del decreto 633 del 1972) che finora avevano tenuto indenni dall’IVA e dai relativi adempimenti tutta una serie di entrate molto importanti per gli enti associativi. Si tratta, ad esempio, dei corrispettivi specifici e quote versati da soci, associati o partecipanti a fronte di cessione di beni o prestazioni di servizi in conformità allo statuto oppure in occasione di manifestazioni. A queste si possono aggiungere anche la somministrazione di alimenti o bevande tipicamente svolte dalle realtà associative presso le proprie sedi (pensiamo al servizio bar).

L’allarme è stato lanciato subito dal Forum del Terzo Settore, che lamenta lo scarso coinvolgimento del mondo del Terzo Settore nella scrittura della norma. Il provvedimento prevede il passaggio da un regime di esclusione Iva, ad un regime di esenzione per i servizi prestati e i beni ceduti dagli enti nei confronti dei propri soci. Sembra una piccola variazione, neutra economicamente, ma che invece comporta i costi di tenuta della contabilità IVA, oneri e ulteriori adempimenti burocratici. Andrà valutato attentamente l’impatto della nuova disciplina e le possibili conseguenze sulla gestione operativa delle attività svolte.

Già oggi il Terzo settore sta affrontando il delicato passaggio di entrata in vigore del Registro Unico del Terzo settore, con tutte le problematiche conseguenti. L’introduzione di questo ulteriore adempimento, secondo il Forum, è del tutto disallineato con la normativa oggi in vigore e produrrà disorientamento e sfiducia negli enti, soprattutto quelli più piccoli. Poiché l’emendamento passa ora alla Camera, l’augurio del mondo del Terzo Settore è che l’Articolo 5, nei commi da 15-bis a 15-quater, del DL Fiscale venga soppresso.

A complicare la questione c’è però una procedura di infrazione europea che incombe sull’Italia proprio su questo aspetto fiscale delle associazioni. La procedura d’infrazione è la n. 2008/2010 per violazione degli obblighi imposti dagli artt. 2, 9 della direttiva IVA (2006/112/CE), relativamente alle operazioni escluse dal campo di applicazione dell’IVA. Si tratta di una procedura a fronte della quale l’Italia è obbligata a fornire un riscontro modificando la norma incriminata (art.

4 del decreto IVA) e che riguarda “le cessioni di beni e prestazioni di servizi effettuate da alcune associazioni di interesse pubblico a favore dei soci, associati e partecipanti nonché delle cessioni di beni e prestazioni di servizi prestati ai membri di organismi senza fini di lucro”. L’obiettivo delle procedure di infrazione, in sostanza, è la tutela del mercato e della concorrenza a fronte della quale la commissione UE chiede di attrarre in campo IVA le operazioni sopra citate che oggi sono escluse sia dal tributo che dai relativi adempimenti.

Tuttavia, va detto che non tutte le operazioni che verranno colpite dalla nuova norma IVA hanno natura economica e, dunque, non tutte si pongono in possibile concorrenza sul mercato.

Approfondimenti

Il primo effetto della norma è che attrae in campo IVA operazioni che prima erano considerate escluse dal tributo. Come ricordato prima, i classici corrispettivi specifici o quote versate dagli associati o dai partecipanti per fruire di servizi (quote di iscrizione ad un corso, somministrazione di alimenti e bevande, vendita di beni etc..). Dal punto di vista del pagamento del tributo non cambierà nulla e l’IVA sulle prestazioni sopra indicate continuerà a non essere dovuta. Tuttavia, attenzione alla terminologia tecnica perché è spesso fonte di equivoci.

Con la modifica introdotta i c.d. corrispettivi specifici, ai fini IVA, non sono più considerati “esclusi” ma “esenti”. Questo vuol dire che pur non versando il tributo gli enti si dovranno dotare di una partita IVA. Particolare attenzione dovrà essere prestata dalle Associazioni di Promozione Sociale dal Ministero dell’interno che svolgono attività di somministrazione di alimenti e bevande. Con la modifica introdotta le relative entrate diventeranno imponibili ai fini IVA e richiederanno, dunque, l’effettivo pagamento del tributo, fatta eccezione per le ipotesi in cui il servizio è reso verso indigenti (si tratterebbe in tal caso di prestazioni esenti).

Questo effetto potrà essere evitato solo se l’APS presenta ricavi inferiori a 65 mila euro. In tale circostanza le operazioni resteranno fuori campo IVA senza alcuna modifica rispetto al regime attuale. C’è da aggiungere che gli enti non profit invece potranno evitare tutti gli altri classici adempimenti IVA. Pensiamo alla fatturazione e alla registrazione cui si aggiunge anche la dichiarazione IVA per gli enti che hanno solo questo tipo di entrate considerate esenti. Va detto, tuttavia, che la fatturazione potrebbe scattare solo se espressamente richiesta da chi riceve il servizio.

Anche in tal caso resta, comunque, la dispensa dalla relativa registrazione.

Come uscire dall’impasse? Ovviamente occorre fornire una risposta alla procedura di infrazione, che metta al centro il coinvolgimento degli enti non profit e delle amministrazioni che stanno seguendo da vicino l’evoluzione del terzo settore. Bisogna evitare soluzioni calate dall’alto senza un dialogo preventivo. La norma così come approvata dal Senato si presta a diverse obiezioni e criticità anche perché finisce con il colpire gli enti senza distinguere in base alle attività e al tipo di entrate, probabilmente, in alcuni casi, andando oltre gli obiettivi indicati dalla procedura di infrazione UE.

Allo stesso tempo l’emendamento non tiene conto di un periodo transitorio per consentire ai soggetti coinvolti di prendere le misure con le novità legislative, a cominciare dall’apertura della partita Iva qualora non ne fossero già provvisti. Si sarebbe, ad esempio, potuto conciliare prima di tutto l’entrata in vigore delle novità in tema di IVA consentendo l’ultimazione delle procedure di ingresso nel registro del terzo settore da parte degli enti, magari facendo decorrere le modifiche IVA dal 1° gennaio del 2023.

Il differimento potrebbe consentire, peraltro, di attivare un confronto costruttivo sulle effettive modifiche da apportare al regime IVA assegnando un margine di tempo utile per rintracciare una soluzione condivisa. Vi sono poi delle considerazioni di merito da fare.

Inoltre, analizzando l’emendamento si nota che la tecnica utilizzata dal legislatore non è eccelsa (come spesso accade), si opera un semplice “travaso” della medesima formula letterale dal campo delle operazioni escluse (art. 4 del decreto IVA) a quello delle operazioni esenti (art. 10 del decreto IVA). Probabilmente cambiando gli effetti sostanziali legati al tributo indiretto ci si sarebbe aspettati l’inserimento di qualche chiarimento in più. Ad esempio, per far rientrare nel campo IVA i corrispettivi specifici ricevute dagli enti associativi per perseguire gli scopi istituzionali vi dovrebbe essere una attività finalizzata, potenzialmente o concretamente, alla produzione di un utile.

Ragionando diversamente, si andrebbe quindi oltre l’obiettivo della procedura di infrazione e della stessa Direttiva di cui si contesta la violazione. Non è sufficiente, infatti, che l’ente riceva un corrispettivo dai propri soci, associati, partecipanti e tesserati per lo svolgimento di un servizio. Anche perché si dovrebbe verificare se le relative entrate istituzionali siano in grado di coprire i costi.

In questo senso potrebbe aiutare l’impostazione seguita dalla riforma del terzo settore che considera fiscalmente “non commerciali” le attività istituzionali svolte senza l’effettivo conseguimento di un utile. Insomma, potrebbe essere questa una chiave di lettura su cui riflettere per modificare l’impostazione seguita dalle nuove norme in coerenza con i cambiamenti legislativi introdotti per il terzo settore. Quello che dovrebbe essere chiaro al legislatore è che non si possono disciplinare aspetti delicati sulla base di “blitz” ad opera di uffici ministeriali, soprattutto quando si tratta di questioni che vanno ad impattare su un mondo (terzo settore) che coinvolge milioni di volontari e che costituisce un modello di coesione sociale.

Difesa Civica — rubrica a cura di Roberto Onorati

Roberto
Roberto Onorati

Potentino di origine, toscano di adozione, laureato in legge, dirigente pubblico, segretario comunale, poi funzionario a Bruxelles per la Commissione Europea, oggi si occupa come consulente di formazione e supporto giuridico per gli enti locali in tema di affidamento e gestione di servizi alla persona e alla comunità - www.robertoonorati.it - onorati66@gmail.com

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