Il filosofico teatro di Pirandello secondo Roberto Valerio

Una coproduzione della compagnia di Umberto Orsini e della Fondazione Teatro della Pergola, per l’ultimo spettacolo della stagione di prosa 2013/214, fino a domenica in scena Il giuoco delle parti da Luigi Pirandello.

09 aprile 2014 12:15
Il filosofico teatro di Pirandello secondo Roberto Valerio

FIRENZE - Il meccanismo dell'amore, del legame affettivo fra un uomo e una donna, lo scontro con la ragione e la dignità personale, e le drammatiche, paradossali implicazioni che ne conseguono, rivissute a distanza di anni con appassionata ossessività.

Dopo la raffinata regia del gennaio 2013 di Un marito ideale, Roberto Valerio torna al Teatro della Pergola per chiudere la stagione con il Giuoco delle parti, originale pièce di Luigi Pirandello, tratta da una sua novella. Una pièce dalla particolare atmosfera fiabesca ma a tinte forti, una sorta di Wunderkemmer del teatro e della mente, che solleva il sipario su quella varietà di “orride meraviglie” con cui l'esistenza è ancora in grado di sorprenderci. Parafrasando Cartesio e il sue sentire meccanicista, Pirandello, e Roberto Valerio, regalano al pubblico l'emozione di uno scombinato congegno temporale e mnemonico, (simboleggiato nell'olografia di un orologio che s'intravede fra le vetrate di scena), attraverso una vicenda paradossale, comica, crudele, tenera, che prende le mosse da una coppia separata nella Sicilia del 1918.

L'intuizione drammaturgica di Roberto Valerio, sta nell'indagare come il protagonista, Leone Gala (l'esperto Umberto Orsini), affronta il ricordo della grottesca vicenda che lo ha coinvolto molti anni prima, quando, separato dalla giovane moglie Silia (una splendida Alvia Reale), andava a trovarla ogni sera, senza però entrare nell'appartamento, ma parlando dalla strada con la cameriera. Una sera, la moglie combina l'incontro fra lui e l'amante, Guido Venanzi (un convincente Michele Di Mauro), che si è scelta per tentare di sfuggire dall'esasperazione in cui la tiene la presenza-assenza del marito.

Rimasti soli, i due uomini si confrontano in modo stranamente pacato, senza rancori apparenti, ma con Leone che non perde occasione per porre in sottile imbarazzo l'ingenuo Guido, spiegandogli le ragioni che lo hanno portato all'indifferenza verso la moglie. In estrema sintesi, respinge l'amore per paura di averne a soffrire, ricorda il Collodi delle Macchiette (cfr. Un nome prosaico), dove candidamente fa ammettere a una donna di non aver mai amato perché “il medico me l'ha proibito”.

Orsini, nella sua interpretazione, si spinge ben oltre il personaggio, e traccia una personalità raffinata e "refrattaria", che per delicatezza verso sé stesso rinuncia a vivere pienamente l'esistenza, e per questo è più vicino a Joseph Roth che a Baudelaire. Non c'è rassegnazione nelle sue parole, che Orsini riveste di pacatezza, bensì lucidità (o almeno, quella lucidità che Pirandello sempre attribuisce all'universo borghese), accompagnata da una gattopardesca astrazione dal quotidiano.

Suo opposto, non solo di genere, la moglie Silia, che Alvia Reale impersona con piglio passionale, melodrammatica al limite della pateticità, sensuale in sottoveste di raso nero o in abito di seta rossa, e severe in scuri abiti quasi vedovili, eppure mai doma, da vera femmina del Sud. Stanca dell'oppressione psicologica che subisce dopo la separazione dal marito, non sentendosi pienamente apprezzata come donna, combina un duello fra il marito e tale Marchese Miglioriti, prendendo a pretesto una presunta offesa da quest'ultimo ricevuta, e che Leone deve vendicare.

Ma questi, esperto conoscitore del gioco della vita, lascia che a prendere le armi sia Guido, in linea con la parte di amante che si è scelta (o che gli è stata attribuita). Nella tranquillità di Leone, che spinge il rivale alla morte in duello, e ne fa quindi un assassino sul piano morale, è ravvisabile la raffinata, paradossale crudeltà di Max Aub, che, negli Omicidi esemplari, giustifica l'eliminazione degli individui intellettualmente e moralmente modesti. E modesto, Guido Venanzi lo è senza dubbio, caricatura drammaticamente attuale di tanta parte della moderna maschilità, che ha della virilità un'idea estremamente vaga, così come di cosa significhi amare e rispettare una donna.

La sua pochezza suscita il malcelato disprezzo di Silvia, che lo ha preso scelto amante non per reale convinzione, ma per vendetta contro il distaccato consorte. È, questo duello, l'idealizzazione del gran teatro dell'esistenza, dove le contraddizioni coesistono fianco a fianco senza scandalo di nessuno, e che Pirandello analizza con caustica curiosità.

Nell'allestimento di Valerio, il passato si incastona nel presente di un Leone ormai anziano, e ospite di una casa d'igiene mentale, dove il suo filosofico aplomb è scambiato per eccentricità dal perosnale medico, e benevolmente tollerato. Fra le mura bianche della sua camera, rivive con la memoria la strana vicenda, e indirettamente riflette sul suo rapporto con la moglie molto più giovane di lui, dalla quale è ancora attratto e intimidito insieme. Una situazione alla quale sfuggì con la separazione, una sorta di via di fuga a quel gioco scombinato che è l’esistenza.

Sullo sfondo di questa singolare vicenda, una Sicilia ancestrale, sospesa fra l'Occidente e l'Oriente, intrisa di nenie arabeggianti e grandiose sinfonie barocche, che, come fughe musicali concettuali, scandiscono quel teatrale “giuoco delle parti” di cui le dinamiche continuano a sfuggirci.

Alla chiusura del sipario, calorosi e meritati applausi per uno spettacolo che è un raffinato ritratto della bizzarria dell’essere umano.

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