Caso Magherini: da Firenze una reazione di civiltà

Testimonianze spontanee, documenti digitali e tanta solidarietà: come la comunità fiorentina ha reagito alla morte di Riccardo

Nicola
Nicola Novelli
01 maggio 2014 23:46
Caso Magherini: da Firenze una reazione di civiltà

Tra il 2 e il 3 marzo 2014, tra mezzanotte e l’una, a Borgo San Frediano i ristoranti sono ancora aperti. Riccardo Magherini, quaranta anni, ex calciatore della primavera viola, una vita condizionata da qualche disagio personale, è in stato di agitazione. E' arrivato lì dall'altra parte dell'Arno, gridando che qualcuno vuole ucciderlo. Entra in una pizzeria, dove qualcuno lo conosce, ma nessuno riesce a trattenerlo, a rassicurarlo. Esce sfondando la porta a vetri del locale.

In strada riesce a entrare nella macchina di una donna, che lo fa scendere poiché lo trova visibilmente alterato. Mentre continua a vagare in preda alla crisi nervosa, qualcuno chiama il 112. La richiesta di intervento è motivata perché “c'è uno che chiede aiuto per strada”. Sopraggiungono due volanti. I Carabinieri cercano di fermarlo, nasce una colluttazione. I militari, in quattro, lo immobilizzano, steso a terra a pancia in giù, e lo ammanettano. Magherini si sente male: urla che lo stanno ammazzando.

Verso l’una i carabinieri chiamano il 118. Arriva prima un’ambulanza senza medico a bordo, poi ne sopraggiunge un'altra con il medico. Ma durante il trasporto in ospedale, viene costatato il decesso.

Cosa sia successo durante l’ammanettamento è oggetto dell'inchiesta giudiziaria di cui stiamo scrivendo da giorni. Le ricostruzioni divergono. Secondo il verbale dei carabinieri si è trattato di un “balordo” in preda a una crisi nervosa, stroncato da un attacco cardiaco. Secondo i legali della famiglia, che hanno sporto denuncia, Magherini, dopo essere stato fermato, è stato costretto a terra, pancia in giù, ammanettato con le braccia dietro alla schiena, in una condizione di dolore fisico che l'ha ucciso.

E la stampa scrive ormai di un ennesimo caso Cucchi, o Aldrovandi, specie dopo la pubblicazione di foto che mostrano escoriazioni e tumefazioni sul cadavere. Il caso è riesploso la settimana scorsa dopo la conferenza stampa del senatore Luigi Manconi, presidente della commissione Diritti Umani di Palazzo Madama e la messa in onda di un paio di video della scena dell'arresto da parte della trasmissione televisiva “Chi l'ha Visto”. Oltre che i documenti digitali ci sono alcuni testimoni, che hanno assistito all'arresto in strada, o dalle finestre dei palazzi.

Sarà la Procura della Repubblica ha ricostruire con esattezza la vicenda e a decidere la sorte dei quattro carabinieri indagati. Intanto è possibile fare qualche considerazione sul contesto sociale in cui la tragedia si è consumata.

Approfondimenti

A cominciare dalla differenza che separa il caso Magherini dalle vicende citate di Cucchi, o Aldrovandi, o Ferulli e Uva: a Firenze i testimoni non hanno avuto timore di farsi avanti e raccontare quello che hanno visto. Alcuni giovani si sono lasciati intervistare dalla TV senza temere la reazione da parte di chi è oggetto dell'inchiesta. E questo almeno è un bel segnale per una comunità turbata, pronta a reagire, a difendere i diritti umani e di cittadinanza, come hanno confermato le attestazioni di affetto e il sostegno fatto sentire alla famiglia da tanti fiorentini, conoscenti, o meno di Magherini.

L'altro aspetto che Nove da Firenze ha l'obbligo di sottolineare è la trasparenza digitale che domina il mondo contemporaneo. Il sistema ci controlla con le proprie telecamere, ma anche il potere è controllato dai cittadini con i propri telefonini. Ormai nessuno può sentirsi immune dall'occhio digitale che testimonia e documenta ogni momento delle nostre vite, in qualunque angolo del mondo antropizzato. Miseri, o potenti, civili, o militari, dobbiamo capire che ogni nostra azione può essere vista e registrata da dispositivi digitali nella disponibilità di uno sconosciuto palmo di mano. Anche questo è un aspetto consolante della penosa vicenda.

Vista dall'altra parte, da quella delle forze dell'ordine, l'inchiesta sui quattro carabinieri aumenta l'inquietudine, manifestatasi nei giorni scorsi durante il congresso del Sindacato autonomo di Polizia. Chi sarà felice di uscire in pattugliamento, d'ora in poi, mal pagato, mal equipaggiato e a rischio di conseguenze penali a causa della propria condotta operativa? E' sicuramente tale quesito ad assillare i vertici delle forze dell'ordine in queste ore. La nostra risposta è che finalmente anche in Italia dobbiamo fare un salto di qualità. Pagare meglio gli agenti di pubblica sicurezza, selezionarli non perché disponibili a menare le mani all'occorrenza, addestrarli a contenere senza provocare conseguenze fisiche ai fermati, insegnare loro a comprendere anche il quadro psichico delle persone con cui hanno a che fare. Insomma è arrivato il momento di avere forze dell'ordine più moderne, più civili, più rispettose dei diritti individuali.

Un'ultima considerazione sui dirigenti locali dell'Arma. E' stato imprudente consentire agli indagati di stilare un verbale rivelatosi in alcuni passaggi infondato e non veritiero. Non era necessaria la più raffinata “intelligence” per sapere in chi si erano imbattuti la notte tra il 2 e il 3 marzo. Non solo Riccardo Magherini non era un energumeno scamiciato e violento, ma è il figlio di una famiglia conosciuta e perbene, con dotazioni culturali ed economiche sufficienti per incaricare consulenti legali qualificati a realizzare una propria ricostruzione degli eventi, che sta fornendo moltissimi elementi all'inchiesta della Procura. Questa sottovalutazione potrebbe rivelarsi un errore davvero imperdonabile per i carabinieri.

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