Disoccupazione giovanile: bisogna ripartire dalla formazione tecnica

I dati toscani presentati e analizzati oggi dall’Irpet

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
18 giugno 2013 18:52
Disoccupazione giovanile: bisogna ripartire dalla formazione tecnica

FIRENZE – La crisi ha una evidente connotazione generazionale. Questi i dati toscani presentati e analizzati oggi da Nicola Sciclone dell’Irpet nell’ambito del convegno “Come dare un futuro ai giovani” che si è svolto oggi nella sede della presidenza regionale. Fra il 2008 ed il 2012 in Toscana si sono registrati 18 mila lavoratori in meno, che sono però il saldo fra due opposti andamenti: 43 mila occupati in meno fra i 15-29enni e 25 mila occupati in più fra gli over 30. In aumento i tassi di disoccupazione giovanile, che tornano ai livelli del 1992-93, dopo una lunga stagione in cui tali tassi si erano notevolmente ridotti, anche grazie alle riforme che, a cavallo del nuovo millennio, avevano introdotto una maggiore flessibilità del mercato del lavoro.

La deregolamentazione del mercato del lavoro aveva quindi sostenuto un modello di crescita estensivo, capace di creare occasioni di lavoro che però conoscono un rapido ridimensionamento appena arriva la recessione. Noi e gli altri. La crisi ha colpito quasi tutti i paesi. Tuttavia la minore intensità della caduta del Pil, da un lato, e la minore dualità del mercato del lavoro ha fatto sì che altrove i giovani pagassero un prezzo minore. In ogni caso se, ad esempio, guardiamo al rapporto fra il tasso di occupazione giovanile rispetto al tasso di occupazione della popolazione adulta (oggi al 30 per cento), è facile osservare la distanza che l’Italia – e inevitabilmente anche la Toscana- scontano rispetto ai paesi- eccetto quelli dell’area mediterranea- che, più di noi, hanno una tradizione di incisive politiche attive del lavoro e un efficiente ed efficace sistema della formazione. Ripartire dalla scuola. La qualità dell’istruzione e il modo in cui l’istruzione interagisce con il mondo del lavoro sono parte integrante delle politiche del lavoro.

E’ questo un punto spesso sottovalutato, ma invece molto rilevante. Tutte le statistiche sui livelli e la qualità dell’istruzione collocano il nostro paese, e quindi anche la Toscana (ogni 100 giovani in età 18-24 anni poco più di 18 non conseguono il diploma di scuola secondaria), nelle posizioni meno elevate. Abbiamo uno skill gap rispetto ai paesi più evoluti, ma anche rispetto a quelli emergenti che pongono l’istruzione al primo posto nelle loro strategie di crescita economica e sociale. A questo deficit di formazione si aggiunge la sfasatura fra il mondo della istruzione e quello del lavoro: troppi lavoratori fra i giovani sono sotto inquadrati (anche in Toscana poco meno di 1 su 2 fra i laureati e poco più di 1 su 2 fra i diplomati), a testimonianza da un lato della incapacità del sistema produttivo di assorbire una domanda di lavoro qualificata e, dall’altro, delle scelte spesso poco lungimiranti delle famiglie nella scelta dei percorsi di studio dei propri figli. La gravità della disoccupazione e la sfasatura fra domanda ed offerta richiedono interventi per favorire l’alternanza scuola lavoro: queste esperienze servono all’orientamento e rendono più facile il passaggio ad un lavoro definitivo.

Il modello tedesco, a questo proposito, offre alcuni spunti interessanti di riflessione, basandosi su un sistema in cui non esiste la contrapposizione fra saperi accademici e generalisti, da un lato, e tecnici professionali, dall’altro, e in cui l’integrazione fra scuola e lavoro è promossa a tutti i livelli. In Toscana non partiamo da zero: i percorsi di istruzione e formazione IEFP, ITS, IFTS sono tutte esperienze che si richiamano a quel modello, ma vanno messe in filiera, potenziate, valorizzate, orientate alla cultura del risultato, sapendo naturalmente che nessun modello è esportabile tout court, ma al tempo stesso che sul rilancio della formazione tecnico e professionale si gioca una importante partita a favore dei giovani. Un nuovo patto intergenerazionale.

L’investimento sulla scuola è il classico esempio di intervento a resa differita nel tempo. E nel frattempo, come trovare le risorse per i giovani? In un mondo che non cresce, non resta che la redistribuzione. Tuttavia se la torta non aumenta, le fette diventano più piccole. Questa è la trappola che oggi scontiamo nel rapporto fra giovani ed adulti (o anziani). Sia che si prenda come esempio la riforma degli ammortizzatori sociali della Fornero, sia le più recenti proposte di una staffetta intergenerazionale, o molti altri esempi ancora, non esiste una soluzione di “ottimo paretiano”: cioè una soluzione in cui qualcuno (in questo caso i giovani) guadagna, senza che nessun altro perda (gli adulti/anziani). In ogni caso, anche volendo uscire dallo stereotipo per cui chi difende i giovani è un innovatore, magari attento al merito, e chi difende i meno giovani invece un conservatore, i diritti e le tutele non sono distribuiti in modo equo (dalle pensioni alle condizioni di accesso al mercato del lavoro) da un punto di vista generazionale.

Occorre quindi un nuovo patto fra generazioni, tanto più difficile a realizzarsi se non riparte la crescita, tanto meno difficile se riprenderemo a crescere. “Dobbiamo ripensare il rapporto scuola-lavoro, dobbiamo diventare una regione europea”. E’ il compito che oggi il presidente Enrico Rossi ha formulato sottoponendolo alle riflessioni e approfondimenti del convegno “Come dare un futuro ai giovani?” che si è svolto nel pomeriggio, in collaborazione con l’Irpet, nella sede della Regione Toscana in piazza Duomo. Dopo di lui sono intervenuti, oltre all’assessore regionale Gianfranco Simoncini che ha concluso i lavori, Nicola Sciclone dell’Irpet, la sociologa Chiara Saraceno, Sergio De Stefanis dell’Università di Salerno. “Noi abbiamo puntato sulla formazione post-scolastica, ora dobbiamo occuparci di quella interscolastica – ha proseguito Rossi – E’ questa la nuova direzione che dobbiamo imboccare per metterci al passo dell’Europa e contribuire a combattere la disoccupazione giovanile.

La mia generazione ha creduto in una formazione a tutto campo e per tutti prima di rapportarsi col mondo del lavoro. Oggi però ci dobbiamo rendere conto che un giovane che non ha avuto esperienze di lavoro nel suo percorso formativo è un cittadino meno consapevole”. “La Regione Toscana ha investito molto sui tirocini – ha ricordato Rossi – e nell’ambito del progetto Giovanisì abbiamo varato la prima legge in Italia in questo settore che ha fatto da battistrada e da modello per le stesse Linee guida nazionali, ma ora dobbiamo costruire (e in questo chiediamo aiuto al mondo intellettuale e della ricerca) delle politiche formative diverse, che si correlino alle nostre realtà produttive e utilizzino le risorse del Fondo sociale europeo per dare un futuro alle giovani generazioni”. Rossi ha poi evidenziato altri punti salienti di Giovanisì, tra cui la legge sul servizio civile che ha rivoluzionato il quadro normativo, fissando gli aspetti quantitativi e ampliando i diritti assicurati ai giovani, una nuova legge sull’imprenditoria giovanile, interventi per l’accesso al credito dei lavoratori aticipi, e il bando per il contributo affitto che ha supportato e sta supportando tanti giovani (finora oltre 2.000) nella scelta concreta dell’autonomia di vita.

Complessivamente dal 2011 a oggi sul progetto sono stati convogliati 365 milioni di risorse regionali, nazionali e europee. E proprio in forza di questa esperienza il presidente toscano è stato relatore del parere sul “Pacchetto occupazione giovanile” che è stato adottato all’unanimità dal Comitato delle Regioni dell’Unione europea. “L’Europa non può permettersi gli attuali tassi di disoccupazione giovanile – ha affermato nel suo intervento l’assessore Simoncini – In termini economici e di competitività ma anche di democrazia.

Non regge la coesione sociale con un terzo dei giovani fuori dal mondo del lavoro. Ci vogliono pertanto politiche per lo sviluppo e politiche mirate. La Toscana con Giovanisì ne ha fatto una priorità assoluta di questa legislatura e continueremo ad investire in questa direzione, intorno a tre capisaldi che sono la formazione qualificata, il sostegno all’autoimpiego ed all’imprenditoria giovanile, e la tutela dei diritti e lotta allo sfruttamento. Oggi stiamo lavorando ad una riforma del sistema della formazione professionale anche se il dati toscani, presentati nei giorni scorsi, sono tra i migliori a livello nazionale”. Alcuni dati di Giovanisì Sono ad oggi 57.000 i giovani coinvolti nei vari filoni del progetto. I tirocini retribuiti (500 euro lordi mensili) attivati sono 4.764, e 1.444 i rapporti di lavoro che dopo il tirocinio si sono aperti con varie tipologie di contratto. Oltre 2.000 i giovani beneficiari del contributo affitto, da 150 a 350 euro mensili per tre anni. Sono 5.557 le richieste di servizio civile, e 2.200 i giovani avviati. 634 le imprese agricole finanziate e 881 quelle in altri settori in base alla legge “Fare impresa”.

Di queste 600 hanno ottenuto contributi fino a 50.000 euro e 281 oltre 50.000.

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