Alluvioni in Toscana e Liguria: bonifica dei campi e lotta all'abbandono

Le proposte di Dottori Agronomi e Dottori Forestali riuniti a convegno sull’Isola Palmaria. Dal 2000 al 2010 persi in Italia 300mila ettari di superficie agricola e il 31,6% di manodopera agricola, che significa minore controllo e sicurezza

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
26 maggio 2012 15:55
Alluvioni in Toscana e Liguria: bonifica dei campi e lotta all'abbandono

Un comune obiettivo da perseguire attraverso un’attenta pianificazione territoriale e con un piano di prevenzione ordinaria che si basi sull’attenta progettazione di opere di sistemazione idraulica e sul potenziamento dell’attività di bonifica dei terreni anche con l’aiuto dei privati. Tutto perché siano mitigate al massimo le conseguenze dei danni da alluvioni dopo i tragici eventi di novembre 2011 nelle Cinque Terre e in Lunigiana. E’ il messaggio che Dottori Agronomi e Dottori Forestali di Toscana e Liguria lanciano dall’Isola di Palmaria dove, quest’oggi si è svolta una giornata di studio dedicata a “Pianificazione, gestione e ripristino: il territorio da criticità a risorsa”, proprio nella Settimana dei Parchi. Nell’ultimo decennio (2000-2010) l’Italia ha perso 300mila ettari di superficie agricola (sau) ed il 31,6 per cento di manodopera agricola, un chiaro segnale dell’ulteriore abbandono delle campagne italiane che significa minore controllo e sicurezza del territorio, e maggiori costi di manutenzione.

«Dopo l’emergenza non bisogna spegnere i riflettori - spiega Monica Coletta, presidente della Federazione dei Dottori Agronomi e dei Dottori Forestali della Toscana - E’ nostro impegno sostituire logiche di prevenzione a quelle di ripristino e della gestione dell'emergenza. Ma il sistema può funzionare se tutte le professionalità coinvolte collaborano per il raggiungimento di questo comune obiettivo. La categoria dei Dottori Agronomi e dei Dottori Forestali, per la sua presenza capillare sul territorio, può dare un contributo fondamentale in tema di gestione delle aree agricole coltivate, di progettazione, direzione e collaudo delle opere di sistemazione idraulica, di contrasto all’abbandono delle aree rurali, dove i solchi del degrado, innescano forme di dissesto di gravità crescente che collassano in occasione di eventi meteorologici eccezionali». «Il momento che stiamo vivendo è molto delicato – aggiunge Sabrina Diamanti, presidente Federazione dei Dottori Agronomi e dei Dottori Forestali della Liguria -.

Il paesaggio e il territorio sono in trasformazione: le pinete scompaiono, i castagni soffrono sotto l’attacco del cinipide, non c'è rinnovamento di specie autoctone, mentre proliferano quelle infestanti. La pianificazione in questo caso diventa anche salvaguardia di un patrimonio storico-culturale-paesaggistico e diventa risorsa in un'ottica di realizzazione di filiera, posti di lavoro e riduzione di spese legate al ripristino, che coinvolgono spesso le infrastrutture e sono molto elevate sia in termini di esborso che di disservizio». «Ogni volta che accade una tragedia si discute della mancata prevenzione delle responsabilità e probabilmente dell’inutilità delle norme – ha detto Andrea Sisti, presidente Conaf -; siamo un Paese dove, purtroppo, all’organizzazione del territorio si antepone la fatalità.

Ritengo che i professionisti italiani che si occupano di territorio devono ripensare l’approccio alla pianificazione e alla progettazione in un’ottica integrata e di cooperazione; non solo bisogna pensare al riuso delle strutture produttive e residenziali ma anche alla loro demolizione e quindi, conseguentemente, alla riorganizzazione dei modelli insediativi e produttivi. Nel nostro settore agro-silvo-pastorale, dobbiamo fare in modo che gli strumenti di programmazione e sviluppo delle filiere produttive siano basati sulle riorganizzazione del territorio, consentendo alle attività produttive di svolgere appieno quelle funzioni di presidio del territorio che hanno consentito la costruzione e il mantenimento del paesaggio e la relativa identità delle comunità locali e, al tempo stesso, la prevenzione rispetto alle calamità naturali.

Per questo – ha concluso il presidente Sisti - il Conaf proporrà a breve una rimodulazione del codice deontologico in funzione della regolamentazione attraverso standard prestazionali delle competenze professionali tali da garantire la responsabilità dei professionisti nelle attività di pianificazione, programmazione e progettazione». La normativa vigente - «Il problema dell’Italia è la mancanza di una seria politica di prevenzione – spiega Fabio Palmeri, consigliere nazionale Conaf – e la natura, quando colpisce, fa pagare alla collettività con interessi pesanti le scelte errate di pianificazione territoriale.

I legislatori che si sono succeduti fino ad oggi hanno elaborato normative specifiche incentrate spesso sulla gestione dell’emergenza e sul monitoraggio, azioni che seppur lodevoli non eliminano le cause scatenati Per questo è necessario ripensare l’approccio legislativo e pratico con l’aiuto di figure professionali qualificate, come i dottori agronomi e forestali impegnati nella prevenzione». La pianificazione e i costi di manutenzione - «Una corretta gestione del territorio per la salvaguardia dal rischio idraulico, si deve basare sul binomio prevenzione – manutenzione - dichiarano Renato Ferretti, dirigente alla pianificazione territoriale, turismo e promozione pr.

di Pistoia e Giordano Fossi dell'Ordine dei Dottori Agronomi e forestali di Firenze - Un’attività che passa attraverso il mantenimento dei fossi, del sistema delle siepi e dei filari, delle canalizzazioni ed in generale delle sistemazioni idraulico-forestali. La mancata manutenzione del territorio comporta dei costi che oltre che economici sono sociali, ambientali, culturali mentre una corretta programmazione e, laddove necessari, può originare una serie di ricadute positive sul territorio stesso.

Ad esempio per una manutenzione periodica e ordinaria della vegetazione ripariale i costi sono di 850 euro a ettaro, mentre per una manutenzione straordinaria i costi sono notevolmente maggiori, 7-9mila euro a ettaro con un peggioramento ambientale e paesaggistico, un peggioramento della qualità delle acque e con un aumento del rischio». Maggiore semplificazione - «Strumenti urbanistici superati e documenti dove prevalgono gli aspetti direttivi e prescrittivi piuttosto che l'individuazione e la gerarchizzazione di interventi sul territorio sono il reale problema dei Comuni italiani – spiega Fabio Palazzo, presidente dell'Ordine dei Dottori Agronomi e forestali di Genova – Spesso gli strumenti di pianificazione vigenti derivano da analisi territoriali effettuate in tempi diversi e con livelli diversi di approfondimento rendendo problematico un loro confronto o una loro coerenza.

Diminuisce così l'effetto regolatore sul territorio soprattutto per i contesti al di fuori delle aree densamente urbanizzate dove si concentrano gli interessi economici e produttivi. Nonostante la maggiore consapevolezza rispetto alle conseguenze dei traumi ambientali sulle attività umane, la pianificazione stenta ad aggiornarsi ed a risolvere i conflitti esistenti. Ben pochi amministratori locali sono consci che un buon piano di protezione civile deve nascere da una corretta integrazione con la pianificazione locale e settoriale (di bacino in particolare) non limitandosi ad un mero documento sull'organizzazione dell'emergenza ma diventando mezzo di aggiornamento periodico delle conoscenze sui fatti del territorio e sui riflessi che questi possono avere sulla sicurezza delle comunità». Sinergia con gli enti locali «Quello che auspichiamo anche attraverso questo convegno – aggiunge Roberto Pomo dell’Ufficio Parco - è una collaborazione più stretta con le istituzioni per un efficace piano di prevenzione che passi dal rilancio dell’agricoltura e del turismo per progettare insieme il presidio del territorio». Il progetto pilota della Valle del Serchio «L’abbandono delle attività agricole nelle aree montane, soprattutto nelle aree più marginali, espone il territorio a fenomeni che nel breve o lungo periodo si ripercuoteranno sull’assetto idraulico e idrogeologico del territorio – aggiunge Pamela Giani del comprensorio di Bonifica n.

4 “Valle del Serchio” -. Per questo il Comprensorio di Bonifica “Valle del Serchio” si sta adoperando per valorizzare il ruolo delle aziende agricole nella tutela idraulica e idrogeologica dei territori montani contro l’abbandono delle campagne attraverso il progetto “Custodia del Territorio” avviato nel 2006». Attraverso convenzioni attivate con alcune aziende agricole del territorio, i privati provvedono alla sorveglianza, monitoraggio e primo intervento su una parte del reticolo idraulico.

Un progetto permette di ridare dignità agli agricoltori, a coloro i quali hanno deciso di rimanere in montagna e investire su quei territori per creare la propria attività, riconoscendo alle aziende quelle esternalità positive che sono in grado di fornire, non per ultimo il presidio del territorio. Il bacino montano del fiume Serchio si sviluppa su oltre 1.500 km di reticolo idraulico con più di 2.000 opere idrauliche. Il ruolo delle aziende agricole coinvolte è principalmente quella di svolgere attività di monitoraggio e controllo dello stato dei luoghi per mezzo di sopralluoghi e trasmettere le situazioni rilevate, lo stato dei luoghi loro assegnati, agli uffici competenti tramite l’invio di appositi report, anche attraverso il sito web del Comprensorio di Bonifica.

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