'Il naufragio' della Kater i Rades, morte nel mediterraneo

Il naufragio della Kater i Rades costituisce una pietra di paragone per tutti gli altri naufragi a venire

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
06 febbraio 2012 16:05
'Il naufragio' della Kater i Rades, morte nel mediterraneo

Il naufragio della Kater i Rades costituisce una pietra di paragone per tutti gli altri naufragi a venire, non solo perché è stato l’esito delle politiche di respingimento e dell’isteria istituzionale che le ha prodotte ma perché, a differenza dei molti altri avvolti nel silenzio, èpossibile raccontarlo. Alessandro Leogrande presenta il suo nuovo libro Il naufragio (Feltrinelli) con Lorenzo Guadagnucci e Nicola Ruganti, mercoledì 8 febbraio ore 18:00 a la Feltrinelli Librerie in via degli Orafi, 31/33 Pistoia Il 28 marzo 1997 una motovedetta albanese stracarica di immigrati, la Kater i Rades, viene speronata da una corvetta della Marina militare italiana e cola a picco nel Canale d'Otranto.

"Il naufragio della Kater i Rades costituisce una pietra di paragone per tutti gli altri naufragi a venire, non solo perché è stato l'esito delle politiche di respingimento e dell'isteria istituzionale che le ha prodotte... Il naufragio della Kater i Rades è una pietra di paragone perché, a differenza dei molti altri avvolti nel silenzio, è possibile raccontarlo." "Il naufragio della Kater i Rades costituisce una pietra di paragone per tutti gli altri naufragi a venire, non solo perché è stato l'esito delle politiche di respingimento e dell'isteria istituzionale che le ha prodotte.

Non solo perché i termini della questione oggi sono i medesimi. Non solo perché, con totale cinismo o somma indifferenza, una forza politica di governo continua a parlare di blocchi navali nel Mediterraneo. Il naufragio della Kater i Rades è una pietra di paragone, perché, a differenza dei molti altri avvolti nel silenzio, è possibile raccontarlo." Alle 18.57 del 28 marzo 1997 una piccola motovedetta albanese stracarica di immigrati, la Kater i Rades, viene speronata da una corvetta della Marina militare italiana, la Sibilla.

In pochi minuti l'imbarcazione cola a picco nel Canale d'Otranto. È la sera del Venerdì Santo. I superstiti sono solo 34, i morti 57, in gran parte donne e bambini, 24 corpi non verranno mai ritrovati. È uno dei peggiori naufragi avvenuti nel Mediterraneo negli ultimi vent'anni. Ma soprattutto è la più grande tragedia del mare prodotta dalle politiche di respingimento. La guerra civile albanese, che infuria da settimane, spinge migliaia di uomini, donne e bambini a partire verso le coste italiane in cerca della salvezza.

La crisi del paese balcanico fa paura. In molti in Italia alimentano il terrore dell'invasione e prospettano la necessità del blocco navale. Così, tre giorni prima del naufragio, il governo italiano vara delle misure di controllo e pattugliamento nelle acque tra i due Stati che prevedono anche il ricorso a procedure di "harassment", ovvero "azioni cinematiche di disturbo e di interdizione". Prima dello scontro, la Sibilla insegue la Kater i Rades per un tempo che agli uomini e alle donne sulla carretta appare incredibilmente lungo.

Il processo per accertare le responsabilità dell'accaduto è lunghissimo. Le indagini vengono ostacolate e intralciate, alcune prove scompaiono o non vengono mai recuperate. Alla fine, gli unici responsabili del disastro risultano essere il comandante della Sibilla e l'uomo al timone della Kater. Intanto in Albania, i sopravvissuti e i parenti delle vittime creano un comitato per ottenere giustizia. Alessandro Leogrande ha indagato a lungo sul naufragio del Venerdì Santo: ha incontrato i sopravvissuti e i parenti delle vittime, i militari, gli avvocati, gli attivisti delle associazioni antirazziste e ha girato per le città e i villaggi dell'Albania da cui sono partiti i migranti.

Alessandro Leogrande (Taranto 1977) è vicedirettore del mensile "Lo straniero". Cura una rubrica settimanale sul "Corriere del Mezzogiorno" e collabora con quotidiani e riviste, tra cui "Saturno", inserto culturale de "il Fatto Quotidiano". Dopo l'esordio con Un mare nascosto (L'ancora del Mediterraneo 2000), un'inchiesta sulla sua città d'origine, stretta fra crisi industriale, inquinamento e ascesa del telepredicatore Giancarlo Cito, Alessandro Leogrande ha raccontato con reportage narrativi le nuove mafie, i movimenti di protesta, lo sfruttamento dei braccianti stranieri nelle campagne: Le male vite.

Storie di contrabbando e di multinazionali (L'ancora del Mediterraneo 2003; nuova edizione Fandango 2010); Nel paese dei vicerè. L'Italia tra pace e guerra (L'ancora del Mediterraneo 2006); Uomini e caporali. Viaggio tra i nuovi schiavi nelle campagne del Sud (Mondadori 2008, con cui ha vinto il Premio Napoli – Libro dell'Anno, il Premio della Resistenza Città di Omegna, il Premio Sandro Onofri, il Premio Biblioteche di Roma). Ha curato le antologie Nel Sud senza bussola. Venti voci per ritrovare l'orientamento (L'ancora del Mediterraneo 2002, insieme a Goffredo Fofi) e Ogni maledetta domenica.

Otto storie di calcio (minimum fax 2010).

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