Ieri sera il concerto dei Dream Theater al Piazzale Michelangelo: quando la musica si chiama arte

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
06 luglio 2004 11:44
Ieri sera il concerto dei Dream Theater al Piazzale Michelangelo: quando la musica si chiama arte

Grande evento ieri sera al piazzale Michelangelo, una serata di rock e di grande musica, costellata da gemme di note d'autore. Il festival musicale “Michelangiolesca” non sarebbe potuto partire in modo migliore.
I cancelli sono stati aperti in leggero ritardo rispetto all'orario che era stato comunicato. Il pubblico è arrivato alla spicciolata, soprattutto durante l'esibizione del primo gruppo di spalla della serata: gli Empty Tremor. Autori di un prog metal di matrice classica, a metà strada tra i Fates Warning di “Parallels” e i Dream Theater di “Images and Words”, hanno saputo incantare la platea non ancora troppo numerosa, con delle melodie di ampio respiro e dalla tecnica di alta scuola.

Il loro set, durato mezz'ora, ha regalato delle bellissime perle, estratte soprattutto dal loro ultimo lavoro “The Alien Inside”. Passano pochi minuti e arriva il secondo gruppo di supporto: i toscani Vision Divine. Chi si aspettava le loro “cartucce” più pesanti in stile speed metal, è rimasto parzialmente deluso, visto che il gruppo, nella mezz'ora a sua disposizione, ha optato per un repertorio più progressivo (con qualche puntatina nell' adult oriented rock), forse spinti dal clima non canonicamente metal della serata.

Comunque, una bella prova anche per loro, penalizzata forse dal mixaggio dei volumi, non proprio ottimale. Arrivano le ventuno,e, puntuali come orologi, i Dream Theater salgono sul palco. Le prime note sono quelle di “As I Am” (dal loro ultimo disco), e subito parte il boato della folla. Il feeling è quello giusto, e l'ambientazione è stupenda (non ci sono maxischermi, né effetti speciali, ma basta lo sfondo di Firenze di notte, per rendere magnifica la coreografia), e James Labrie, il frontman del gruppo, non può che far notare al pubblico il panorama alle sue spalle! Ma c'è poco tempo per i convenevoli: c'è del rock da suonare, e il gruppo ce la mette tutta.

“Caught In a Web” è realizzata stupendamente, mentre è discutibile la scelta di suonare “Peruvian Skies”, brano leggermente sottotono (lo era anche su disco). A sorpresa arriva la stupenda ballata “Another Day”, e il pubblico diventa un mare di accendini,e subito dopo è il turno di “Afterlife”, brano ripescato dal primo mitico album del gruppo. Il gruppo dà poco respiro al pubblico, e quasi tutti i brani vengono snocciolati con una velocità e una precisione disarmante. C'è meno spazio per l'improvvisazione rispetto al tour invernale, e le parti strumentali sono essenzialmente quelle originali previste dalle canzoni, senza troppi fronzoli né variazioni.

Dopo circa un'ora e mezza di grandi emozioni è il turno della stupenda “The Spirit Carries On”, e a seguire la classica e tirata “Pull Me Under”. Labrie fa segno al pubblico che è tardi (... ma come? sono solo le dieci e mezza!) e saluta tutti col classico “good night”. La gente è esterrefatta: è abituata ad almeno tre ore di musica coi Theater! Menomale che c'è spazio per un bis... e che bis! La suite “A Change of Seasons” viene suonata con un trasporto e un pathos unico, e il pubblico può tornare a casa in parte soddisfatto.

Resta tuttavia il dubbio su chi abbia imposto al gruppo di suonare due ore scarse.

Marco Lastri

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