Otto scultori internazionali al Chiostri della Basilica di Santa Maria dell'Impruneta dall'11 al 19 maggio 2002

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
06 maggio 2002 11:59
Otto scultori internazionali al Chiostri della Basilica di Santa Maria dell'Impruneta dall'11 al 19 maggio 2002

Gli artisti internazionali presenti (Riccardo Biondi, Stephen Daly, Kathleen Holmes, Jane Manus, Lothar Nickel, Giampiero Poggiali Berlinghieri, Franco Scuderi, Hartmut Stielow) nella loro differente cifra artistica, hanno un’idea di ricerca comune: la trasformazione sensibile della materia che usano e l’innescare una trasformazione a livello percettivo delle forme.
"Jean Baudrillard nella metà di questo decennio -afferma L. M. Baldrian nel catalogo dell amostra- ci diceva che l’immagine non può più immaginare il reale, non può più trascenderlo, trasfigurarlo, sognarlo, perché essa ne è la realtà virtuale.

Se è così, tutto ci è chiaro ed intelligibile, i dubbi sono svelati, e niente rimane nell’ombra. L’abolizione della distanza (il nome è la cosa, e non la indica) è una conquista grandiosa (la semplicità è chiarezza), ma è anche una perdita, poiché viene eliminato il mistero delle cose, la loro scoperta e la creazione.
All’inizio degli anni ’80, Germano Celant registrava il fatto che la copia e la simulazione della realtà era più autentica e sorprendente della realtà stessa.

Il risultato che ci prospettava era quello che il reale si sarebbe svuotato di ogni sorpresa e si sarebbe eliminata la validità dell’esperienza, visto che la simulazione dell’evento veniva ad essere più esaustiva dell’evento stesso. Il messaggio oggi, più che mai, è fuso e combaciante con il mezzo, e dunque si può parlare di uso dei canali di comunicazioni del presente più che di messaggio o di realtà.
È curioso parlare adesso di riconquista dell’illusione quando proprio il suo abbattimento è stato un cardine ed un motore delle ricerche artistiche del XX secolo.

Ora non si tratta di ricreare l’illusione dello spazio reale, in una cornice, in un tempo determinato, ma di partire dal mondo di oggi, ovvero dalle immagini e dai modi con cui vengono veicolate per poterle ispessire attraverso il contenuto. L’illusione, l’evocazione, prima di tutto è data dalla parzialità del punto di vista, ovvero dall’esperienza individuale soggettiva di un tema o situazione, che dal particolare dell’evento va oltre. Ma l’azione sul contenuto si deve operare in contemporanea ad una riformulazione del mezzo usato tentando una riconquista della distanza, del mistero e della costituzione delle forme, per non essere solo riproduzione.
Questo mio testo, che accompagna la mostra “Mutamentum”, mette in campo il dubbio e la domanda che dobbiamo porci oggi circa la “rappresentazione”.

Ci troviamo nella condizione di avere un’enorme potenzialità per la riproduzione del reale, per farlo divenire ancor più reale e vero. La sua messa in scena è talmente esaustiva fino al punto che le immagini hanno preso il posto delle cose. Cosa rimane da fare? Non isolarsi ma far ispessire quelle immagini, dargli una sostanza e così facendo riconquistare un’illusione, il mistero e con esso la forza di evocare il mondo, le cose, per poterle nuovamente scoprire e rinominare.
Gli artisti presenti in questo libro, Franco Scuderi, Jane Manus, Hartmut Stielow, Giampiero Poggiali Berlinghieri, Lothar Nickel, Riccardo Biondi, Kathleen Holmes, Stephen Daly, hanno una presenza che non è invasiva e non vuol esserlo.


Quella da loro operata nel presente è la risposta del manufatto, della pratica del bricoler, del fare. La loro è la risposta del costruire, e del creare forme. La concretezza e la fisicità delle loro opere è insindacabile, come lo diviene a quel punto lo spazio che vanno ad occupare, a segnare a nominare. La loro è una maestria ed un’attenzione temporale che ci lusinga.
Quello che ci donano è una pratica non spettacolare, un fare lento e minuzioso, che di conduce ad una intimità soggettiva inedita che solo la sicurezza della pratica quotidiana permette.

Questi oggetti, sono la perizia del “definire”: non sono sculture né immagini, non sono figurativi né astratti, sono tutte e quattro le cose contemporaneamente.
Con Franco Scuderi il legno si camuffa in materiale sintetico. Nelle sue opere gli uomini si risolvono in cilindretti con tagli obliqui, il mondo in un incastro. Jane Manus, mette in scena uno strano tipo di scrittura e di alfabeto. Il fattore straniante è dato dalla presenza volumetrica ingombrante di questi “monosillabi” che rasenta l’impostazione architettonica.

Hartmut Stielow, è un gioco di forze e di opposizione di materiali diversi, in particolare tra il ferro e la pietra ed il modo con cui possono essere trattati in epidermide.
Gli aggregati minimali di Giampiero Poggiali Berlinghieri mimano le movenze di strani animali e presenze, ma in realtà sono nient’altro che la forma nel momento primordiale della materia. La semplificazione delle forme operata da Lothar Nickel nelle sue sculture, sfida e combacia con le forme inorganiche plasmate dal tempo in natura.

Per Riccardo Biondi è predominante l’esigenza di misurazione dello spazio umano attraverso segni minimali. Kathleen Holmes, prende il tempo ossessivo del ricamo e lo solidifica in vestiti per soggetti assenti. La domanda è: stiamo guardando l’attesa di un’apparizione (la donna) o la solidificazione del ricordo e di una perdita? Stephen Daly, dà vita a sculture che hanno più la dinamica del sogno che la creazione di forme e di spazio".

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