La vita drammatica di un “rompicoglioni”

Che per molti anni ha fatto paura a mezza Firenze, ma non serve alla logica capitalistica

Nicola
Nicola Novelli
05 ottobre 2000 10:48
La vita drammatica di un “rompicoglioni”

Negli anni’80 solo pronunciare il suo nome faceva venire i brividi. Era l’epoca in cui, Roberto Guadagnolo e i suoi amici, entrati in un locale notturno, erano in grado di prendere a caso un malcapitato e riempirlo di botte, solo per intimorire il gestore. Ma potevano anche mettere a soqquadro il bar, distruggendolo. Per un bel pezzo Guadagnolo fece paura, incredibilmente indisturbato, a mezza Firenze. L’altra metà lo frequentò, nelle palestre, nell’ambiente del calcio storico, persino alle migliori feste della “sedicente nobiltà” fiorentina; e in Santa Croce molti lo consideravano un mito. 

Alla fine la Giustizia decise di occuparsi del caso. Guadagnolo fu processato per tentato omicidio. La sua reazione alla lettura della sentenza di condanna è un episodio storico del Tribunale di Firenze. L’imputato, saltato sul banco del Giudice, indossò una toga, riuscì a strappare un estintore e respinse l’assalto delle forze dell’Ordine per lunghi minuti, gridando: “La faccio io Giustizia!”. E’ forse per questo che l’Amministrazione carceraria, allora diretta Alessandro Margara, ritenne opportuno, applicando un articolo del Regolamento ministeriale, internarlo in osservazione all’Ospedale Psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino, un carcere sicuro e organizzato.

Ma all’Ambrogiana, nonostante fosse stato assegnato a lavori d’ufficio, le cose si misero subito male. Guadagnolo, insofferente delle regole e delle imposizioni carcerarie, si rese protagonista di atti di intemperanza e insubordinazione, furti di oggetti pericolosi, minacce, tentativi di fuga dalle zone di restrizione, addirittura violenze e sequestri di persona, avendo ad oggetto, in un caso, persino il Direttore. Naturalmente la sua condotta finì per esasperare la Polizia penitenziaria, i cui uomini, strutturalmente sotto organico, sono sottoposti a carichi di lavoro massacrante. A seguito di una violenza ad un agente scattò la ritorsione di alcuni colleghi. E l’invitabile rapporto costrinse la Direzione al trasferimento di Guadagnolo appena a un anno e mezzo dal suo arrivo.

Inizia così una peregrinazione da un carcere all’altro, attraverso la Toscana, l’Emilia e persino la Sardegna. Guadagnolo non riesce a resistere in ogni prigione più di qualche mese, esasperato dalla detenzione e dalla lontananza. Ogni volta, una violenza nei confronti delle guardie, la loro reazione e l’immancabile rapporto comportano il trasferimento. Una patata bollente che nessuno vuole avere per le mani.

L’estate scorsa, a Livorno, un gruppo di giovani agenti penitenziari, pur di riuscire ad entrare nella cella di Guadagnolo, per vendicare una violenza subita da un collega, si sono scontrati con un Ispettore che tentava di impedirglielo. Hanno immobilizzato il superiore, gli hanno strappato le chiavi, ma quest’ultimo ha fatto rapporto e sono scattate l’inchiesta, la polemica sulla stampa e l’invitabile trasferimento.

E’ in queste circostanze che Guadagnolo è arrivato a Sollicciano. Sembrava un tentativo di soluzione. Forse vicino a casa avrebbe dato meno fastidio. E poi, pensava qualcuno, quel carcere era la legittima destinazione di un fiorentino violento: nessuno poteva protestare. E invece no. Anche vicino a casa, Guadagnolo ha sequestrato un agente e anche a Firenze la sua detenzione è stata breve.

Guadagnolo è stato trasferito a Napoli. Napoli è uno dei luoghi critici del sistema carcerario italiano. E’ un penitenziario sovraffollato. E’ la prigione della Camorra. A Napoli non si scherza. Forse qualcuno spera così di ricondurre a ragionevolezza un uomo violento, o comunque di essersi levato dalle scatole un problema.

Guadagnolo era un problema sociale quando stava fuori e ha continuato ad esserlo anche dietro le sbarre. Si tratta di un caso limite, ma è indiscutibile dichiarare il fallimento del nostro sistema collettivo e dei suoi strumenti di controllo davanti a uomini ingovernabili, elementi isolati si dirà, come Guadagnolo, che non trovano un posto, un ruolo, neanche in mezzo ai criminali.

Secoli fa si sarebbe forse arruolato come soldato di ventura, gladiatore o chissà cosa. Oggi, nella società di massa, Guadagnolo non serve alla logica capitalistica. E’ considerato, al massimo, un rompicoglioni. Deve averlo capito anche lui, se è vero che un giorno di gennaio di qualche anno fa, nudo in mezzo al cortile dell’OPG di Montelupo, accerchiato dagli agenti penitenziari che tentavano di ricondurlo in cella, ha gridato loro: “Mitragliatemi qui: voglio morire così, da eroe!”

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