Un disegno segreto, attribuito a Leon Battista Alberti, svela il mistero della Città ideale

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
23 febbraio 2006 13:13
Un disegno segreto, attribuito a Leon Battista Alberti, svela il mistero della Città ideale

(Firenze,23 febbraio) C’è probabilmente la mano di Leon Battista Alberti, l’autore del De Re Aedificatoria, dietro La Città Ideale, il misterioso dipinto quattrocentesco, simbolo universalmente noto del classicismo e della perfezione formale raggiunta dall’architettura e dall’urbanistica rinascimentale. Sembra provarlo un inedito e altrettanto misterioso disegno destinato a diventare una delle attrazioni della grande mostra che Firenze, grazie all’iniziativa dell’Ente Cassa di Risparmio, si prepara a dedicare al geniale concittadino a 600 anni dalla nascita (L’uomo del Rinascimento.

Leon Battista Alberti e le Arti a Firenze tra Ragione e Bellezza, Palazzo Strozzi, 11 marzo–23 luglio, www.albertiefirenze.it). Individuato grazie ai più moderni strumenti diagnostici (tra cui radiografia e riflettografia), il disegno si trova nascosto sotto la superficie pittorica e in occasione della mostra l’immagine sarà esposta per la prima volta, per di più a fianco del dipinto originale. La qualità è stupefacente e secondo gli esperti che lo hanno esaminato, il disegno è estremamente rivelatore data la sua assoluta particolarità: è infatti identico al dipinto in tutti i dettagli. Un rarissimo caso di fotocopia monocroma, lo definisce l’esperto internazionale di diagnostica che ha condotto la ricerca, Maurizio Seracini, cacciatore, tra l’altro, dei perduti affreschi di Michelangelo e Leonardo in Palazzo Vecchio a Firenze.

“Anche maestri della prospettiva come Piero della Francesca”, aggiunge, “non ricorrevano a simili artifici, bensì preparavano tavole e tele limitandosi a poche linee guida, ad accenni di costruzione geometrica. Il resto era affidato all’abilità del pennello”. Dandone oggi notizia, Gabriele Morolli, docente di Storia dell’Architettura all’Università di Firenze, tra i massimi conoscitori di Alberti e curatore con Cristina Acidini (soprintendente dell’Opificio delle Pietre Dure) della mostra a Palazzo Strozzi, sostiene con decisione la tesi che a realizzare il disegno sia stato Alberti in persona.

“Le sue teorie”, spiega, “hanno influenzato molti dei massimi artisti dell’epoca, tra cui Piero della Francesca, al quale La Città Ideale è di solito attribuita. Ma in questo caso si va ben oltre la paternità mentale. Il disegno prefigura alla perfezione forme, volumi e prospettiva dell’intera rappresentazione rivelando l’opera non di un pittore, ma di un architetto come Alberti, che secondo Vasari era bravissimo a disegnare prospettive di città ‘senza le figure’”. C’è di più: “Gli edifici rappresentati”, ricorda Morolli, “non solo sono fedeli trascrizioni di architettura descritte nel trattato albertiano De Re Aedificatoria, ma citano anche note opere di Alberti, in particolare Palazzo Rucellai e la facciata di Santa Maria Novella a Firenze, il tempio Malatestiano a Rimini.

Niente ci proibisce dunque di pensare che Alberti abbia realizzato il disegno da par suo e che, poi, altri lo abbiano colorato”. Ma gli indizi non finiscono qui. Come noto, esistono altre due Città ideali raffiguranti analoghe scene urbane realizzate in apparenza secondo una stessa concezione e forse da una stessa mano. La tavola in questione è custodita a Urbino nel Museo Nazionale delle Marche, le altre nei musei di Berlino e Baltimora. Per Morolli il palinsesto grafico alla base del dipinto di Urbino risalirebbe alla meta del Quattrocento e potrebbe essere stato concepito nell’ambito dei grandi progetti di papa Niccolò V (di cui Alberti fu consigliere e al quale donò la prima copia del De Re Aedificatoria) per rinnovare Roma e restaurare le antichità in vista del Giubileo del 1450. E’ un’ipotesi che trova conforto nei soggetti delle altre due Città ideali.

Quella di Baltimora raffigurerebbe dunque non un generico foro, bensì proprio il Foro Romano con tanto di Colosseo e Arco di Costantino accanto a edifici moderni: il grande tempio ottagonale fasciato di marmi bianchi e verdi come la facciata di Santa Maria Novella, i tanti palazzi all’antica che sembrano copie o sviluppi di Palazzo Rucellai. Quella di Berlino raffigurerebbe invece la grande strada urbana che doveva mettere in comunicazione il Vaticano con l’approdo sul Tevere presso Castel Sant’Angelo (come l’attuale Via della Conciliazione) per favorire l’afflusso dei pellegrini.

Quella di Urbino, infine, sarebbe l’immagine della Piazza vaticana circondata da modernissimi palazzi cardinalizi e con al centro il tempio rotondo del nuovo San Pietro. Seracini vorrebbe ora analizzare con i suoi strumenti anche le altre due Città ideali nella convinzione che nascondano anch’esse un disegno. Se progetti giubilari erano, aggiunge Morolli, rimasero senza esito, furono accantonati e infine donati probabilmente dallo stesso Alberti al suo grande protettore Federico da Montefeltro, di cui fu più volte ospite a Urbino.

I disegni furono poi portati a compimento, magari anche sotto il controllo dell’autore, da uno dei molti pittori fiorentini o urbinati alla corte del grande Montefeltro.

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