Libero professionista, ma senza concorrenza? Risponde l'Avv Visciola

"Un patto di non concorrenza, ovvero la richiesta di non assumere incarichi per aziende o soggetti che abbiano interessi nello stesso settore dell'azienda per la quale lavoro"

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
17 febbraio 2014 15:23
Libero professionista, ma senza concorrenza? Risponde l'Avv Visciola

Egregio Avvocato, la società per la quale lavoro con contratto a termine, mi ha proposto di proseguire la collaborazione chiedendomi l'apertura della partita IVA e dunque di lavorare come libero professionista. La bozza contrattuale che mi è stata proposta prevede, in uno degli articoli che la compongono, un patto di non concorrenza, ovvero la richiesta di non assumere incarichi per aziende o soggetti che abbiano interessi nello stesso settore dell'azienda per la quale lavoro, con validità non solo nel periodo della collaborazione, ma fino ai tre mesi successivi la cessazione del rapporto.

Vorrei sapere se detto patto di non concorrenza sia lecito, stante la richiesta di farmi lavorare quale libero professionista. Distinti saluti Gentile Signore, nell’ambito dei rapporti di lavoro, sia di carattere subordinato, che autonomo, è sovente prevista una limitazione atta a escludere la possibilità che il lavoratore – durante o dopo la cessazione del rapporto di lavoro – possa svolgere attività analoga per società concorrenti. Ciò serve a varie ragioni: fidelizzare il lavoratore, ma soprattutto evitare che il bagaglio di conoscenze acquisite all’interno di una struttura (c.d.

know how) possa poi essere utilizzato e andare a vantaggio di altre strutture, ad essa concorrenti. Vero è che, anche in assenza di specifiche clausole limitative della concorrenza, sussiste comunque anche in capo al lavoratore parasubordinato o autonomo un dovere, se non di fedeltà, quantomeno di correttezza nel rapporto obbligatorio (ai sensi dell’art. 1175 c.c.) e un dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto (art. 1375 c.c.), che, già da soli, costituiscono elementi connaturali di ogni rapporto di collaborazione lavorativa (Cass., 21 marzo 2013, n.

7141). Se ciò, dunque, vale già da un punto di vista di principi generali, è comunque ben possibile, come sopra anticipato, che, nell’ambito dei rapporti contrattuali, possano esser previste apposite clausole finalizzate a porre espressamente limiti alla concorrenza. La norma codicistica di riferimento per il suo caso è costituita dall’art. 2596 c.c., che così dispone: “Il patto che limita la concorrenza deve essere provato per iscritto. Esso è valido se circoscritto ad una determinata zona o ad una determinata attività, e non può eccedere la durata di cinque anni”. Tale disposizione manifesta la volontà del legislatore di evitare un’eccessiva compressione della libertà individuale nel perseguimento di un’attività economica, dal momento che il patto deve essere circoscritto a determinate zone o per determinate attività e per una durata limitata a un massimo di cinque anni. Nessun corrispettivo è invece previsto per il lavoratore (a differenza di quanto accade nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato, ai sensi dell’art.

2125 c.c.), che potrà eventualmente essere oggetto di trattativa tra le parti. Cordialmente, Avv. Roberto Visciola

Per scrivere all'avvocato Visciola: nove@nove.firenze.it L'avvocato Roberto Visciola - Laureato con lode all’Università di Firenze, è autore di libri e pubblicazioni in campo giuridico Il servizio “Avvocato online” è progettato per trattare temi giuridici di interesse generale, non costituisce parere legale ed è gratuito. Le domande pervenute saranno selezionate dalla Redazione e i quesiti più significativi, opportunamente semplificati, verranno girati all’Avvocato che, compatibilmente ai suoi impegni professionali, risponderà direttamente sul sito Nove da Firenze.

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