"Firenze e le altre tre città sono state penalizzate solo perché hanno il rating più alto, pari a quello della Repubblica italiana, e dato che, secondo Standard & Poor's non avrebbe senso che una valutazione di una città sia superiore a quella della Repubblica, la loro affidabilità sul mercato dei capitali è stata trascinata in basso dalla valutazione negativa che l'agenzia fa della politica economica e finanziaria del governo". E' quanto afferma il vicesindaco e assessore al bilancio Giuseppe Matulli per commentare la decisione dell'agenzia Standard & Poor's, di rivedere a negativo da stabile l'outlook dei rating relativi ai comuni di Firenze, Milano, Venezia e Bologna.
"Ciò - ha proseguito il vicesindaco Matulli - non rappresenta una bocciatura della politica economica dei nostri Comuni, ma è solo conseguenza di un'analoga revisione dell'outlook italiano e mette in evidenza ridotta autonomia finanziaria e il minor potere contrattuale nei confronti del governo centrale rispetto alle regioni che si sono salvate perché il loro sistema finanziario è diverso da quello degli Enti Locali e quindi non hanno subito, almeno per il momento, questo tipo di contraccolpo".
Questa circostanza offre lo spunto per un'analisi sul mutamento della finanza locale che ha preso corpo fra la fine degli anni '80 e l'inizio degli anni '90 mano a mano che è venuta a consolidarsi la politica di risanamento del bilancio dello Stato, che ha visto innovare le fonti della finanza locale, in precedenza sostenuta prevalentemente attraverso il trasferimento erariale. "Il progressivo aumento del tasso di autonomia finanziaria - ha spiegato il vicesindaco Matulli - è stato realizzato con modalità che hanno determinato un progressivo peggioramento nei conti dei comuni.
Il decennio che si è esaurito ha segnato la fine degli effetti della contribuzione statale sull'indebitamento dei comuni. Ciò ha determinato una progressiva restrizione delle disponibilità dei Comuni che al termine del decennio hanno lasciato uno sbilancio rilevante fra l'aumento delle funzioni e quello del costo delle funzioni tradizionali e di quelle conseguenti al nuovo assetto delle risorse. Gli elementi portanti del sistema sono costituiti dall'Ici, una imposta istituita da un parlamento che nella sua stragrande maggioranza ha escluso la tassa sul patrimonio, poi ha deciso di introdurla scaricandone l'applicazione sugli enti locali, e dell'addizionale Irpef, per cui all'aumento delle funzioni per effetto dei trasferimenti delle stesse da parte dello Stato ha corrisposto la facoltà, concessa ai comuni, di finanziarsi attraverso un ulteriore inasprimento fiscale qual è l'addizionale Irpef, una imposizione regressiva gravando più sui redditi bassi che su quelli alti".
"Eppure - ha concluso il vicesindaco Matulli - tutta la logica dei proclami del federalismo annunciato non poteva che corrispondere al trasferimento delle funzioni, un analogo trasferimento di parte delle risorse fiscali direttamente alla fonte attraverso una compartecipazione all'Irpef con l'elasticità di applicazione che lasciava supporre una parola magica per tanto tempo ripetuta e proclamata senza conseguenze effettive: il federalismo fiscale. Ma la prospettiva sperata non si è realizzata e la riforma è rimasta a metà.
Ad un processo, che non si è arrestato, di trasferimento di compiti e di funzioni, non ha corrisposto e non corrisponde una ripartizione proporzionale di fonti finanziarie".