Tempo celeste e tempo terrestre, nel Canzoniere di Petrarca

La concezione dello scorrere del tempo fra Medioevo e Umanesimo, in L’evo e il tempo del Canzoniere, di Raffaele Morabito, edito per i tipi di Leo S. Olschki. Il volume (72 pp., 19 Euro), è inserito nella collana “Biblioteca dell’Archivium Romanicum”.

16 febbraio 2016 15:48
Tempo celeste e tempo terrestre, nel Canzoniere di Petrarca

FIRENZE - Il tempo: invisibile, inafferrabile, silenzioso, opprimente, eppure necessario, affascinante nella sua impalpabile essenza, è una tematica che direttamente o indirettamente appare nell’opera dei maggiori scrittori e poeti della storia della letteratura.

Raffaele Morabito, professore ordinario di Letteratura Italiana all’Università dell’Aquila, non è nuovo ad avventure letterarie dal sapore inconsueto, e in L’evo e il tempo del Canzoniere sviscera un aspetto sin qui poco attenzionato dagli studiosi e dai lettori, ovvero la concezione che Petrarca ebbe del tempo; una tematica affascinante, che tocca aspetti filosofici, astronomici, religiosi, naturali, e che, per riflesso, si allontana dalle pagine del Canzoniere per raccontare al lettore l’intera società del Trecento, sospesa fra retaggi medievali e l’incombere dell’Umanesimo, del quale Petrarca fu tra gli iniziatori.

Dall’Età Antica a tutto l’Alto Medioevo, il tempo era stato un concetto naturale, scandito dal ritmo delle stagioni, dalle ricorrenze religiose, dai riti campestri; un tempo che scorreva con lentezza, lasciando intravedere davanti a sé, un mondo immutabile, che si ripeterà tal quale come lo si è imparato a conoscere dai racconti degli avi. Lo stretto legame con la natura e le sue manifestazioni, faceva di questa concezione del tempo un qualcosa in stretta simbiosi con l’animo umano, che vi si adattava senza difficoltà, essendo i ritmi naturali anche i ritmi suoi propri.

Una civiltà, quella che vi trovava rappresentazione, che Malaparte in Maledetti toscani chiamerà “saggia e beata”, caratterizzata, nonostante la durezza della vita quotidiana, da una serenità d’animo che l’Umanesimo comincerà a incrinare, anche cambiando il rapporto con il tempo. Mutazione non da poco, se si considerano le implicazioni che comporta. Per prima cosa, un’attenzione quasi spasmodica allo scorrere delle ore, che l’invenzione dell’orologio meccanico aveva portato in quasi tutte le città italiane, come rileva lo stesso Petrarca, visse nel periodo storico di cambiamento dell’idea di tempo.

Come scrive il professor Morabito, il poeta toscano aveva dimestichezza con la concezione temporale antica, in particolare quella di Cicerone, secondo cui il tempo è una parte dell’eternità, che include passato, presente e futuro senza soluzione di continuità. Il sopraggiungere della cultura cristiana avrebbe dedicata ben altra attenzione al concetto di eternità,che si sarebbe spostato dalla terra al cielo. Finisce l’epoca del tempo circolare, con il suo continuo ritornare, e inizia, per l’uomo, la fase della consapevolezza della caducità della natura e dell’umanità.

Il passato acquista quindi un nuovo valore, come di qualcosa destinato a non tornare mai più. Componendo il suo Canzoniere, Petrarca ha ben presente questo sentimento di caducità, di fuga del tempo, che non è più un tutt’uno fra passato e futuro come per gli Antichi; la dimensione del ricordo e dell’attesa assumono nelle sue poesie una valenza particolare, sospendendo l’intera opera in un limbo della mente e del cuore che ne costituisce la grandezza poetica, e ha le sue radici nella nuova concezione ontologica del tempo.

Con piglio da studioso, ma senza indulgere in pesanti accademismi, Morabito affronta il dibattito filosofico sviluppatosi sul tempo, rifacendosi ad autorevoli fonti fra cui Sant’Agostino, Guglielmo da Ockam, Tommaso d’Aquino; il lettore si avventura quindi in un appassionante dibattito sull’oggettività e la soggettività del tempo, sul suo senso relativo che interessa anche la concezione dello spazio, e, più estesamente, l’idea della morte. Un interessante paragrafo è dedicato anche all’invenzione dell’orologio e al suo sviluppo in Italia, a partire dal XIV Secolo, da quando, cioè, la giornata viene divisa in ore di uguale durata, avulse però dal ritmo della natura.

Una modifica di abitudini che oggi appare di poco conto, ma che all’epoca costituì un’autentica rivoluzione, non soltanto tecnica. Il tempo divenne qualcosa di “materiale”, di misurabile in unità ben definite, ognuna delle quali, scorrendo, sembrava portarsi via un po’ dell’essenza dell’individuo.

Di questo nuovo sentire, è intriso anche il Canzoniere, la cui cronologia interna è improntata a un tempo rigorosamente lineare, a una biografia segnata dal passaggio dal peccato a una vita cristiana, seguita a una crisi di coscienza che ricorda quella di Sant’Agostino e che permea l’opera di pentimenti e sensi di colpa: in quest’ottica, il Canzoniere si rivela come un’autobiografia di sentimenti, pensieri, sensibilità, e, ovviamente, poesia, che fanno parte di un’idea dell’esistenza più moderna di quella medievale, e che fa del tempo un luogo ideale dove cercare il suo significato.

Per quanto doloroso sia il suo fuggire, Petrarca sente che la cornice del tempo è indispensabile all’uomo, il suo scorrere dà significato alle azioni passate e presenti, costituisce il senso della storia. La concezione di Petrarca si fa quindi più terrena, inizia a disimpegnarsi dall’eternità celeste ricercata da Dante, specchiandosi nella natura circostante, negli accadimenti e nelle persone che costellano il cammino della sua vita. Si delinea, infatti, quella cultura umanistica che, nel bene e nel male, radicherà l’uomo sulla Terra, alla ricerca di sé stesso.

Niccolò Lucarelli

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