Liberami alla Casa delle Donne di Roma

Il pluripremiato documentario di Federica Di Giacomo è stato proiettato all’interno della rassegna di cinema ‘Regia alle donne’

Elena
Elena Novelli
01 aprile 2019 07:58

Prosegue alla Casa Internazionale delle Donne di Roma la rassegna di cinema ‘Regia alle donne’. I film e gli incontri, partiti a marzo, dureranno fino a giugno, e sarà un’occasione per portare nuova linfa allo storico Complesso del Buon Pastore, un tempo luogo di tortura e dolore delle donne, assegnato nel 1983 alle associazioni femministe che lo hanno trasformato in luogo di libertà. Le registe che hanno risposto alla ‘Chiamata alle Arti’ sono state: Elisa Amoruso, Mariangela Barbanente, Laura Bispuri, Esmeralda Calabria, Carlotta Cerquetti, Concita De Gregorio, Antonietta De Lillo, Federica Di Giacomo, Wilma Labate, Cecilia Mangini, Alina Marazzi, Susanna Nicchiarelli, Costanza Quatriglio, Paola Randi, e con i loro cortometraggi le giovani Giulia Di Battista, Letizia Lamartire, Silvia Perra, Lilian Sassanelli, Veronica Spedicati e altre professioniste del settore. In tempi bui per i diritti delle donne, giorni di lotta e di passione per riaffermare quei diritti duramente conquistati, e che ora vengono nuovamente minacciati da forze retrograde e oscurantiste, la presenza femminile è imprescindibile.

“Mi sono sempre trovata bene a lavorare con le donne” ha dichiarato la regista Federica Di Giacomo, che giovedì sera insieme alla montatrice Aline Herve’, ha introdotto il suo film ‘Liberami’, vincitore nel 2016 a Venezia del premio Orizzonti come miglior film, la cui sceneggiatura aveva conquistato il premio Solinas nel 2014. “Le donne sono più flessibili - ha aggiunto - fanno della preparazione un dono e non una gabbia che le chiude nel loro ruolo in maniera esclusiva”. Sarà per questo che la regista si circonda spesso di donne, che ricoprono un po’ tutte le professioni del cinema, e con le quali ha condiviso i premi e la realizzazione dei suoi precedenti film. Nata a La Spezia, Di Giacomo si è laureata in Antropologia a Firenze, dove ha lavorato per alcuni anni nel teatro‐danza.

Al capoluogo toscano è rimasta molto legata e ci torna spesso. “Tutte le mie amiche e i miei amici storici sono lì - ci rivela - e gli studi che ho fatto sono stati determinanti per il mio percorso, ma anche per l’approccio cinematografico da documentarista”. Tra i tanti premi e le opere realizzate dalla regista, ricordiamo ‘Il lato grottesco della vita’ (2006), premiato al Torino film festival (premio Cipputi, premio Avanti), all'Etno film fest (miglior documentario), selezionato da numerosi festival fra cui Premio Libero Bizzarri, San Paulo Film Festival, Uruguay film festival, trasmesso da Raitre e Cult, e ‘Housing’ (2009) selezionato al Locarno film festival, Torino Film festival, CHP Rotterdam, HotDocs Toronto, Marfici Argentina, Thessaloniki film festival, DoxBox Siria, trasmesso da Raiuno e RAI5. “Ogni anno sempre più persone in Italia, ma anche in Europa e nel mondo - ha raccontato la regista durante l’incontro col pubblico, che ha preceduto la proiezione di ‘Liberami’ - ricorre agli esorcismi per curare malesseri che nessuno riesce a guarire”.

“Questo fatto mi ha molto incuriosito - ha proseguito - e mi ha spinto ad approfondire le mie ricerche: ho scoperto che la Chiesa Cattolica risponde all’emergenza spirituale nominando un numero sempre crescente di preti esorcisti, organizzando corsi di formazione ed istituendo, addirittura, un numero verde”. “In quel periodo abitavo in Sicilia - ha confidato - e sono venuta a sapere dell’esistenza di Padre Cataldo, un veterano del mestiere se così si può dire, tra gli esorcisti più ricercati in Sicilia e non solo, celebre per il carattere combattivo ed instancabile”.

“Così ho deciso di seguirlo - ha rivelato - e con l’aiuto dei miei preziosi collaboratori, e tre lunghi anni di duro lavoro, abbiamo filmato Gloria, Enrico, Anna e Giulia che, ogni martedì, seguono insieme ad altri la messa di liberazione del Padre, e cercano la cura ad un disagio che non trova risposte altrove”. Liberami è la storia dell’incontro fra la pratica esorcista e la vita quotidiana dei protagonisti, non privo di momenti esilaranti come quello dell’esorcismo al telefono; è un racconto corale che trasuda spiritualità ma soprattutto umanità; è un viaggio all’interno dell’uomo e ai misteri della sua mente, o della sua anima per chi crede. Ma non è la religione in sé che interessa alla regista, quanto il suo aspetto liturgico e rituale, e l’effetto che questo ha sui malati o posseduti, e le loro famiglie. Esiste ancora un potere taumaturgico della religione? Si allora chiede questo documentario, e la risposta è sì.

Forse perché la nostra società laica e civilizzata lascia dei vuoti, delle zone d’ombra in cui precipitare, e da cui risorgere non col freddo razionalismo, ma accogliendo la dimensione del mistero; un mistero che risiede dentro ognuno di noi, e che fa di ognuno un essere speciale. Forse è questa dimensione che la regista antropologa va ricercando. Questa e solo questa dimensione, infatti, spiega come i soggetti si lascino filmare, ed entrino nel personaggio fino al punto di ‘recitare’ un ruolo che fa parte della rappresentazione della messa: un palcoscenico da cui non si può scendere, pena la dannazione; uno spettacolo teatrale che ci vede attori e spettatori contemporaneamente; una scena drammatica e comica, seria e grottesca, sacra e profana allo stesso tempo, come è poi la vita. Gli ‘indemoniati’ allora fanno la loro parte, e si adeguano alla maschera che è stata data loro dai parenti e, in ultima analisi, dalla società.

Del resto, non è forse per tutti così?

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