Memorie Ritrovate
La Memoria è come un treno che ci passa davanti, rimane con noi pochi attimi e poi sparisce persa nelle altre cose che ci circondano. Per ritrovare queste Memorie bisogna salire su quel treno e fare il Viaggio con chi ne ha fatto parte.
Fascismo e guerra: Già nei primi anni di vita presi coscienza di cos’era la guerra ed il fascismo. A scuola, per il sabato fascista, ci facevano vestire obbligatoriamente da balilla e fu con quella divisa che io, insieme ad altri, venimmo inquadrati nel Viale Malta - che allora si chiamava Manfredo Fanti - per ricevere Mussolini ed Hitler, che di lì passavano su una macchina scoperta nei primi anni ‘40. In Viale Malta eravamo tornati alla fine del 1940 inizio 1941, dopo essere stati in via Pisana in affitto.
Mio padre era iscritto alla graduatoria della società Enrico Toti per l’assegnazione della casa in quanto mutilato della Grande Guerra, infatti durante un assalto alla baionetta una scheggia di una bomba l’aveva colpito e trapassato appena sotto al cuore. In questo periodo non potevo frequentare la scuola di zona perché quest’ultima era adibita a ospedale militare e dovevo andare in piazza San Salvi, dove oggi c’è la Fratellanza Militare.
Il regime, dopo l’oro alla patria, aveva coniato il motto Il ferro alla patria, e tutti i bambini dovevano portare a scuola i giocattoli che a quell’epoca erano fatti di latta e ferro. Dal mucchio di quei giocattoli accumulati nel corridoio, sottrassi furtivamente una macchinina rossa che mi piaceva tantissimo e così il giocattolo non divenne materiale da cannone.
Facendo un passo indietro, nel 1939, la mia mamma morì di polmonite in seguito alle complicazioni del parto del terzo fratello, che ben presto fu mandato a balia sulle Apuane. Mio padre nel 1940 si ritrovò arreso e decise di risposarsi. Un giorno venne a fare la nostra conoscenza la signora Tina, una donna piccola e grassa che per l’occasione aveva messo un vistoso rossetto rosso fuoco, sembrava uscita da un’illustrazione di Topolino raffigurante la moglie di Gambadilegno.
Appena mi vide mi chiese di avvicinarmi per darmi un bacio. Allora io, nonostante avessi solo cinque anni, andai all’acquaio e aprendo il rubinetto le dissi: “Se prima ti lavi la bocca”. La donna se ne andò e così fu la volta di Emma che da allora ho sempre chiamato mamma e considerata come tale. Lo zio della nuova mamma era Mariano, il sopravvissuto all’eccidio di Crespino sul Lamone, che si salvò perché sepolto dai cadaveri dei compagni e creduto morto, lo trovarono con una ferita alla bocca completamente infetta e piena di vermi.
L’8 settembre e il re di Fornello: Il 1943 fu un anno pieno di avvenimenti, in estate andai in vacanza da solo a Montecarelli ospite di un cugino parroco, Don Remo. Mi ricordo che ero spesso a leggere in cantina gli opuscoli della parrocchia con il profumo dei salumi appesi. A volte la Perpetua mi portava alla Pieve dal Pievano e la sua cucina l’ho rivista descritta nelle memorie di un ottuagenario di Ippolito Nievo, quando poi lessi il libro. Fu una vacanza serena, ma ben altri avvenimenti mi aspettavano al mio ritorno.
Passati pochi giorni dall’8 Settembre, data dell’armistizio, tornò a casa mio fratello maggiore Aldo. Era arruolato in marina e il capitano dell’incrociatore Taranto, su cui prestava servizio, affondò la nave aprendo i boccaporti per non lasciarla nelle mani dei tedeschi. Aldo non poteva rimanere in città e per la sua sicurezza si rifugiò a Gattaia dalla nonna materna.
Il 25 settembre assistetti dall’alto al bombardamento di Firenze, infatti ero solito accompagnare un mio coetaneo che portava da mangiare al babbo giardiniere in una villa di proprietà di un gerarca fascista a San Domenico. Quel giorno, dopo le raccomandazioni delle mamme di stare in guardia e di prestare attenzione agli allarmi antiaerei, stavamo tornando indietro quando suonò l’allarme, ma non ci facemmo troppo caso pensando che al massimo dagli aerei fossero poi piovuti dei volantini. Invece vedemmo i bombardieri piombare in cielo e sganciare le bombe, udendo poi i boati e vedendo le colonne di fumo alzarsi dalla città. I passanti che incontravamo dicevano che avevano bombardato il Campo di Marte. Pensando alla sorte dei nostri cari, lo stato d’animo si faceva sempre più angosciato, vedendoci così, due uomini in bicicletta ci soccorsero e ci dettero un passaggio sulle loro canne fino al Viale dei Mille.
Nella strada davanti alla nostra casa c’era un’ampia voragine, il palazzo era in parte crollato e c’erano stati dei morti, meno male che il lato riguardante la mia abitazione era in piedi anche se lesionato e nel giardino era caduto un albero di tiglio. In seguito agli effetti del bombardamento fummo costretti a lasciare la casa e a dirigersi a Fornello. Questa destinazione ci era stata indicata tramite la sorella della mia seconda mamma che era a servizio presso la famiglia Serrantoni. La signora Serrantoni aveva espresso il desiderio che la loro casa di Fornello fosse abitata, in quanto era libera dal 1939 dalla morte del marito.
Era una casa vicino alla ferrovia immersa nei boschi di castagni e questo ci dava il modo di sostenerci alimentarmente in quanto le castagne si potevano mangiare come tali, oppure portarle al mulino e trasformarle in farina. Nei pressi dell’abitazione c’era anche una littorina abbandonata e fu così che dai rivestimenti maculati neri e gialli dei sedili, la mamma ci ricavò i pantaloni, ovviamente corti. Amavo quella casa, le scarpate di ghiaia dove scendere come con gli sci ai piedi, i boschi di castagni dove leggere i libri, i carrelli della ferrovia abbandonati con cui giocare e immaginare mondi lontani con mio fratello più piccolo e nelle fantasie di un bambino di otto anni io ero “il re di Fornello”.
La guerra in Italia: Il conflitto però continuava e s’inaspriva nel nostro territorio, era il 1944, e ci venne proprio a trovare in casa nostra. Infatti un giorno si presentarono i tedeschi con i loro fucili e i loro “raus” e ci mandarono via per trasformare la nostra abitazione nella loro postazione di comando. Ci spostammo insieme con altri sfollati - in totale una quarantina di persone - sul crinale verso la Romagna. Sopra di noi sfrecciavano gli aerei e i bengala, la notte si dormiva nei fienili e nelle stalle e fu proprio durante una di quelle notti che i tedeschi fecero irruzione e presero i due uomini più in forma del gruppo, uno dei quali era mio fratello maggiore rientrato da Gattaia. Si seppe poi, in quanto dopo due giorni riuscirono a fuggire, che li avevano presi per svolgere le bobine di filo e creare i collegamenti lungo i pendii.
La nostra destinazione fu San Martino in Gattara dove rimanemmo fino al settembre dello stesso anno quando decidemmo di tornare indietro. Durante il tragitto la nostra colonna di abiti variopinti fu presa a cannonate per sbaglio dagli alleati e ricordo che la zia ci disse di ripararci altrimenti saremmo morti senza testa. Al ponte della ferrovia vedemmo i primi alleati, erano indiani e avevano i turbanti, ai grandi regalavano sigarette, mentre a noi bambini era riservata la cioccolata.
Il dopo guerra: Dopo aver fatto la terza, la quarta e la quinta elementare a Gattaia, mio padre volle che frequentassi ancora gli studi, altrimenti mi sarei scordato di tutto. E così frequentai le lezioni da uditore nella sala di aspetto della stazione di Fornello, stanza adibita a scuola durante quell’anno, ricordo ancora il nome della maestra, Savasta Rosa.
Nel 1947 si tornò a Firenze in viale Amendola in subaffitto visto che la casa di Viale Malta ancora non era stata ristrutturata. Ci tornammo l’anno dopo, prima di tutti gli altri, perché il babbo in gioventù era stato muratore e così lui e mio fratello maggiore mandavano avanti le opere di ristrutturazione lavorando la domenica.
I miei ricordi: Sono stati anni molto duri, il fratello di mia cognata fu imprigionato dai fascisti alle murate di via Ghibellina ed era destinato alla fucilazione, si salvò perché disse che era capostazione. I suoi cinque compagni furono passati per le armi il 22 marzo del ’44 dai fascisti davanti allo stadio, una targa ai cancelli della “Maratona” ne ricorda il sacrificio.
I fratelli del babbo a Roma sono stati incarcerati e torturati, mio padre che era un antifascista sfogava la sua ira lanciando improperi nei confronti del calendario appeso in cucina raffigurante la faccia di Mussolini. Io ho attraversato tutti questi momenti con la coscienza e l’animo di un bambino che aveva una grande fantasia e una grande passione, la lettura. Forse anche per questo non ho rimosso nulla di quello che è successo e sono orgoglioso di poterlo raccontare a voi.