Fine vita: sentenza della Consulta sul caso del toscano Massimiliano
La Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di costituzionalità, ribadendo i requisiti già previsti dalla sentenza n. 242/2019 e precisando il significato del “trattamento di sostegno vitale”.
A seguito della decisione di ieri (18 luglio 2024) della Corte Costituzionale in materia di suicidio assistito, subito questa mattina (19 luglio) la commissione multidisciplinare dell’Asl Toscana nord ovest, in accordo con la Direzione aziendale, è al lavoro per rivedere il parere rilasciato in merito al recente caso che si è presentato sul territorio aziendale prima e in attesa della nuova sentenza.
L’Asl, che ha dimostrato da sempre estrema attenzione a questa tematica (è stata tra le prime Aziende sanitarie in Italia a elaborare e approvare una procedura in questo delicato ambito), si è infatti attivata subito, tramite la commissione, per applicare i principi di cui alla sentenza della Corte Costituzionale numero 242 del 2019, già precedentemente posta in attuazione, per come ulteriormente precisati dalla successiva decisione di ieri, la numero 135 del 2024.
Questa attesa pronuncia della Corte Costituzionale scioglie infatti il nodo interpretativo circa la possibilità del richiedente di accedere al suicidio assistito anche ove rifiuti, in base alla legge 219 del 2017, un trattamento di sostegno vitale valutato dal personale medico necessario, equiparando questa condizione a quella di chi sia già tenuto in vita da tali tipologie di trattamento, recentemente poi meglio definite dal Comitato Nazionale di Bioetica.
L’Azienda USL Toscana nord ovest aveva già manifestato ai legali dell’associazione Luca Coscioni - che seguono la cittadina che aveva avanzato una richiesta nelle settimane precedenti - l'intenzione di adeguarsi in maniera tempestiva se la decisione avesse avallato espressamente un'interpretazione estensiva della condizione. Cosa che è avvenuta proprio ieri (18 luglio) con la nuova importante decisione della Corte Costituzionale.
Già negli anni precedenti l’Azienda USL Toscana nord ovest si era distinta a livello nazionale dando per prima attuazione in regione a quanto indicato dalla sentenza del 2019, quella che aveva aperto la strada all'aiuto medico al suicidio (SMA).
Era infatti stata approvata un’apposita delibera (la numero 780 del 13 settembre del 2021) dal titolo “indirizzi operativi per la verifica dei requisiti previsti dalla sentenza della Corte Costituzionale 242 del 2019” proprio a seguito di quella sentenza. A Pisa, nella primavera 2021, c’era infatti stata la richiesta di un cittadino di accedere alla morte volontaria assistita. Ciò aveva sollecitato la pronta risposta dell’Asl che aveva appunto predisposto un apposito percorso al riguardo. Tramite procedura interna, era infatti stato costituito un gruppo di lavoro costituito da clinici, avvocati, medici legali e rappresentanti del ComEC al fine di predisporre quanto previsto dalla sentenza 242 del 2019 per il Sistema Sanitario Nazionale.
L’Asl aveva poi stabilito la formazione di un’apposita commissione multidisciplinare col compito di farsi carico di verificare che in un ogni caso successivo di richiesta analoga ci fossero i requisiti previsti dalla sentenza della Corte Costituzionale. La Commissione è composta da 7 specialisti: un medico palliativista, uno psichiatra, uno psicologo, un anestesista rianimatore, un medico specialista nella patologia principale di cui è affetto il richiedente, un medico legale con funzione di coordinatore del collegio, il medico di medicina generale del richiedente.
Questo aveva permesso già in precedenza - come avverrà adesso anche nella situazione più recente - di gestire un caso dello stesso tipo in via amministrativa.
Dichiara Filomena Gallo, Segretaria nazionale dell’Associazione Coscioni, difensore e coordinatrice del collegio legale di studio e difesa di Chiara Lalli, Felicetta Maltese e Marco Cappato: “la Corte costituzionale chiarisce la nozione di trattamenti di sostegno vitale che deve essere interpretata dal servizio sanitario nazionale e dai giudici comuni in conformità alla sentenza ‘Cappato/Dj Fabo’ n. 242 del 2019. I Giudici scrivono che tale sentenza si basa sul riconoscimento del diritto fondamentale del paziente a rifiutare ogni trattamento sanitario praticato sul proprio corpo, indipendentemente dal suo grado di complessità tecnica e di invasività.
La nozione include quindi anche procedure – quali, ad esempio, l’evacuazione manuale, l’inserimento di cateteri (esplicitamente citato dall’avvocatura dello Stato, e quindi dal Governo, come trattamento da non includere) o l’aspirazione del muco dalle vie bronchiali – normalmente compiute da personale sanitario, ma che possono essere apprese anche da familiari o ‘caregivers’ che assistono il paziente, sempre che la loro interruzione determini prevedibilmente la morte del paziente in un breve lasso di tempo (paragrafo 8).
Sulla base di tale interpretazione dovranno essere considerate dipendenti da trattamenti di sostegno vitale anche Martina Oppelli e Laura Santi.
Ai fini dell’accesso al suicidio assistito, i giudici evidenziano che ‘non vi può essere distinzione tra la situazione del paziente già sottoposto a trattamenti di sostegno vitale, di cui può chiedere l’interruzione, e quella del paziente che non vi è ancora sottoposto, ma ha ormai necessità di tali trattamenti per sostenere le sue funzioni vitali. Dal momento che anche in questa situazione il paziente può legittimamente rifiutare il trattamento, egli si trova già nelle condizioni indicate dalla sentenza n. 242 del 2019’ (ancora, paragrafo 7.2.)”.
È questo il caso della signora toscana cui l’azienda sanitaria Toscana Nord Ovest aveva negato l’accesso alla morte assistita perché aveva rifiutato la nutrizione artificiale.
Marco Cappato, Tesoriere dell’Associazione Coscioni e indagato per aver aiutato, insieme a Chiara Lalli e Felicetta Maltese, Massimiliano Scalas a raggiungere la Svizzera dichiara: “quando abbiamo iniziato le disobbedienze civili, lo abbiamo fatto nella convinzione che fosse nostro dovere morale non girare la testa dall’altra parte di fronte alla richiesta che ci veniva da persone sottoposte a una vera e propria tortura. Oggi la Corte costituzionale, nell’inerzia irresponsabile del Parlamento, conferma il requisito – per noi discriminatorio – del trattamento di sostegno vitale per accedere all’aiuto a morire, dandone però una interpretazione estensiva, contro il parere del Governo.
Prendiamo anche atto che la Corte non riconosce l’equivalenza della verifica delle condizioni in Svizzera invece che in Italia. Siamo dunque pronti ad affrontare i 6 procedimenti giudiziari, per ciascuno dei quali rischiamo dai 5 ai 12 anni di carcere in base a una norma del 1930. E non ci fermeremo”.
IL FINE VITA OGGI IN ITALIA
In Italia oggi il suicidio medicalmente assistito è possibile grazie all sentenza 242 del 2019 della Corte costituzionale che delinea i confini di intervento con l’aiuto indiretto a morire da parte di un medico. Le condizioni richieste dalla sentenza sono: la richiesta deve essere di una persona che sia tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente.
LA SENTENZA DELLA CONSULTA IN ARRIVO
A seguito dell’udienza dello scorso 19 giugno 2024, è attesa nelle prossime ore una nuova sentenza della Corte costituzionale sul fine vita. La Corte è infatti chiamata a esprimersi sul tema del suicidio medicalmente assistito, per la seconda volta dopo il caso di Dj Fabo. In questo caso dovrà pronunciarsi sull'aiuto fornito a dicembre 2022 da Marco Cappato, rappresentante legale dell’Associazione Soccorso Civile, da Chiara Lalli e Felicetta Maltese, che, mettendo in atto un’azione di disobbedienza civile, hanno accompagnato Massimiliano, 44enne toscano, affetto da sclerosi multipla, in Svizzera per poter ricorrere al “suicidio medicalmente assistito”.
Massimiliano si era recato in Svizzera perché non era dipendente da un trattamento di sostegno vitale in senso classicamente inteso (come per esempio dispositivi, farmaci o macchinari sanitari con la funzione di rallentare il progredire della malattia e quindi il decesso), nonostante fosse dipendente totalmente da assistenza di terze persone per sopravvivere. Per questo avrebbe potuto incontrare ostacoli nell’accedere al suicidio assistito in Italia, reso legale, a determinate condizioni, dalla sentenza numero 242 del 2019 sul caso “Cappato\Antoniani” (Dj Fabo).
Oggetto della nuova pronuncia dei giudici della Corte sarà, dunque, il requisito del “trattamento di sostegno vitale”, ossia quello che si presta a un’interpretazione più ambigua e con potenziali effetti discriminatori, a causa del quale tanti italiani sono costretti ad andare in Svizzera per accedere al suicidio medicalmente assistito oppure a dover subire, contro la propria volontà, condizioni di sofferenza insopportabile.
LE RICHIESTE DI “SUICIDIO ASSISTITO” IN ITALIA:
Dal 2019 ad oggi, sono state 5 le persone, seguite dall’Associazione Luca Coscioni che hanno fatto richiesta di accesso alla morte volontaria in Italia. 3 di queste hanno poi deciso di procedere, 2, invece no.