Post Covid-19: verso la ricostruzione della Toscana

Al termine di una guerra sanitaria combattuta ciascuno per conto proprio, inizia anche nella nostra regione una fase economica che non potrà essere una restaurazione. Che fare? E' necessario progettare un avvenire rivoluzionario

Nicola
Nicola Novelli
10 maggio 2020 08:35
Post Covid-19: verso la ricostruzione della Toscana

La storia umana è stata attraversata da epidemie letali, come il colera, la lebbra, la peste e il vaiolo, per dire delle maggiori e delle più ricorrenti, legate alle carestie e cattive condizioni di vita, ai disastri naturali e alle guerre, alla promiscuità e alla scarsità endemica di risorse. Ma il presente quadro epidemico non è molto diverso e Coronavirus non rompe il cliché storico. Se l’opinione pubblica italiana è rimasta spiazzata, si deve solo alla sottovalutazione antiscientifica con cui sono state considerate nei decenni scorsi le infezioni aviaria e suina, mentre scienziati e organismi internazionali denunciavano i pericoli insiti negli allevamenti animali intensivi per l’industria alimentare. Il Covid-19 è solo la conferma finale di un dato di fatto, che si diffonde sui medesimi percorsi della logistica globalizzata.

Gli epidemiologi avevano previsto che il contagio avrebbe preso le mosse da un famigerato mercato fresco in una delle decine di metropoli cinesi, ambienti in cui cani, capre, galline, gatti e sopratutto specie esotiche, o selvatiche, ammassati in gabbie contigue e malsane, vengono macellati a vista, per essere venduti, cotti e serviti in tempo reale. È uno dei pochi retaggi antichi della Cina di oggi, forse l’unico lusso individuale che il gigante industriale e autoritario dell’Asia ha concesso ai propri cittadini/sudditi.

Stavolta è successo a Wuhan, megalopoli di 12 milioni di abitanti, capoluogo della popolosa provincia dell’Hubei, interconnessa con le aree più avanzate della Terra. Muovendo verso occidente, il virus ha finito con il seguire le rotte dell’export. Non è un caso che i maggiori focolai si siano manifestati nelle aree industrializzate occidentali: la Lombardia, la Catalogna, l'Ile de France, la Renania, New York city.

Lungi dal confermare l’immagine di un Occidente e un Oriente distanti, in questa tragica vicenda la Cina finisce col rivelarsi l’espressione più immorale del mondo contemporaneo, il fallimento della presunta esternalizzazione dei costi. Si frantuma l’idea dominante secondo cui risorse tecnologico-industriali sommate a basso costo del lavoro e assenza di diritti sociali possono costituire il pilastro fondamentale dello sviluppo mondiale. Pensiamoci: l’epidemia segue semplicemente una ecatombe di carestie, guerre e siccità ignorate per decenni dal mondo evoluto.

La natura, piegata alla modernità tecnologica è passata al contrattacco. E il virus si sta scatenando anche sui simboli dei sistemi egemoni del mondo. La realtà, sovvertendo molti luoghi comuni, ha messo in scena il paradosso della catastrofe proprio nei paesi ad economia avanzata, che conteranno centinaia di migliaia di morti e alla fine dovranno fare i conti con un dopo molto difficoltoso.

Una guerra sanitaria combattuta ciascuno per conto proprio

Fino alla metà del febbraio 2020 in Europa l’infezione da Covid-19 sembrava destinata a rimanere relegata ai territori asiatici, una delle tante epidemie controllabili senza impiego straordinario di risorse. La prima reazione fu blanda. Silente, l’infezione si è diffusa in Italia, trasformandola nel primo focolaio continentale. Poi ogni paese europeo si è rinserrato nei propri confini. E non si è manifestata un'efficace solidarietà sanitaria internazionale. E’ in questo aspetto che l’Unione Europea ha toccato il fondo, tanto più che un mese e mezzo dopo l’intero continente era infettato totalmente.

Sopratutto i governi più ricchi, prima hanno sottovalutato il fenomeno, poi presi dal panico, sono stati colpiti da una sorta di paralisi sanitaria. Nessun organismo nazionale nel continente ha ipotizzato una forma di collaborazione ospedaliera e pure l’Organizzazione Mondiale della Sanità non ha formulato un piano di cooperazione. Stessa cosa -confessiamolo- è avvenuta anche in Italia nel rapporto tra regioni. Unica soluzione a livello nazionale, i comitati tecnico-scientifici, che sprovvisti di strumenti sanitari appropriati, hanno finito per consigliare la sola strategia disponibile, quella di richiudere tutti quanti, senza un’analisi territoriale del fenomeno, con logiche semplificate che hanno ignorato le differenze socio-epidemiologiche, dalla provincia di Bergamo che ha registrato migliaia di morti ad alcune del sud dove se ne conteranno poche decine.

Inizia anche in Toscana la Fase 2

Trascorsi due mesi la situazione si fa sempre più preoccupante, ovunque. La pandemia, già gravissima in sé, sta mettendo in luce le debolezze, le tracotanze e le tentazioni che attraversano il mondo d’oggi. Rivelando la fragilità del ceto politico italiano, che invece di assumere il controllo della situazione, con un forte richiamo alle leggi fondamentali, pare assoggettato alle semplificazioni, mentre molti paesi d’Europa non rinunceranno facilmente ai propri egoismi, malgrado gli impegni formali e le parole spese.

Ma quel che è peggio, la crisi economica rischia di condurre a un generale assopimento della ragione e del senso critico. E’ la prospettiva di un paese colpito da una rovinosa epidemia, ma anche politicamente indebolito da decenni di disunione, di scontri che hanno lacerato ideologie e identità, culture e patrimoni intellettuali. E’ possibile ora concepire qualche progetto di lungo respiro, evitando demagogie, chiusure identitarie e personalismi, che hanno imperversato in questi anni?

Nelle ultime settimane siamo stati testimoni di un modo di governare gelatinoso e privatistico, che sostituisce alla tradizione dei diritti una logica «concedente», regressiva e paternalistica. Un governo circondato appunto da task-force, che vanno a sussidiare la scarsa competenza di una delle generazioni politiche più inesperte che l’Italia abbia mai avuto. Posizioni decisive dei poteri nazionali e locali sono finite in mano a soggetti impostisi attraverso i talk show televisivi. Si indebolisce invece la rappresentanza delle categorie produttive, mentre una furia iconoclasta sui social network travolge la dignità del paese.

Dopo che fare?

Partiamo da un dato di fatto: mentre la Lombardia conta una vera e propria ecatombe, la nostra regione sottoposta a dure misure di isolamento sociale ha saputo sostanzialmente tenere dal punto di vista sanitario. Un risultato in linea con le tradizioni secolari della popolazione toscana, che già in epoche passate aveva superato catastrofi. Anche stavolta abbiamo dato prova di una capacità inusuale, che non ha affievolito lo spirito solidale e umanistico che ci contraddistingue da secoli. Un carattere identitario universalmente riconosciuto, si pensi, ad esempio, alle pestilenze che colpirono Firenze in età antica, ma che vengono considerate il punto di partenza del progresso delle culture materiali che condusse poi al Rinascimento.

E’ allora, ad esempio, che fiorirono le imprese marinare e di scoperta, che culminarono nell’epopea nautica di figure quali Amerigo Vespucci, Giovanni da Verrazzano e il banchiere Giannotto Berardi, legato alle spedizioni colombine. Esploratori toscani che concorsero a rivoluzionare gli scenari europei delle epoche successive.

Fermata l’emergenza Covid-19, il governo locale dovrebbe dimostrarsi in grado di evitare misure severe di limitazione delle libertà individuali, adottate in paesi non democratici, che non hanno nulla a che fare con la Toscana. Evitare gli affollamenti si può grazie a semplici regole di condotta, confidando nel senso di responsabilità dei cittadini. Prima di tutto si dovrà trovare una soluzione che consenta la riapertura delle scuole di ogni ordine e grado e in generale del mondo della formazione. 

Ma come far ripartire un’economia toscana, che continuerà ad essere duramente colpita proprio in uno dei suoi pilastri fondamentali, il turismo culturale e ambientale? Fintanto che l’epidemia non sarà fermata totalmente, forse solo da un vaccino, l’industria turistica e dei beni culturali, fondata sulla mobilità di massa, e dunque mercato per definizione sovranazionale, penalizzerà pesantemente la nostra regione.

Per questo bisogna finalmente elevare la qualità dell'offerta. Se i turisti stranieri non ritorneranno per mesi, si deve riconvertire l'offerta al mercato nazionale, facendo leva sulle straordinarie risorse del territorio. Resteranno in difficoltà alberghi e ristoranti, per i problemi di sanificazione continua dei locali e la diffidenza psicologica degli avventori? Si faccia leva sugli affitti brevi e sullo straordinario patrimonio agrituristico, che può redistribuire l'ospitalità su tutto il territorio, anche quello appenninico e periferico, e rivendica la proverbiale garanzia agroalimentare georeferenziata e a km. 0. Un turismo di prossimità, ecocompatibile, che diventa anche occasione di acquisto alimentare direttamente dal produttore.

La stessa forte identità toscana, espressione di una qualità produttiva millenaria deve essere affermata anche sul mercato manifatturiero. Mano a mano che studi e ricerche confermeranno l'origine cinese della pandemia, aumenterà la diffidenza del mercato per i prodotti made in China. Potrebbe essere una opportunità da cogliere per quei territori a cui da secoli vengono riconosciute capacità manifetturiere. La promozione integrata del brand Toscana si rivelerà una risorsa essenziale per la ripresa artigiana. Senza dimenticare che un pezzo importante dell'industria informatica italiana ha sede nella valle dell'Arno, tra Pisa e Firenze, un mondo che deve essere sostenuto e incentivato, in relazione quanto più possibile con la formazione universitaria.

Per questo è fondamentale che nei prossimi mesi la Regione Toscana scuota anche gli enti minori dal torpore amministrativo. Si aprono grandissime occasioni di finanziamento con le misure e i bandi comunitari, che potranno offrire molte risorse e minori vincoli selettivi. Ma la burocrazia locale sarà in grado di coglierle e supportare l'impresa privata nello sviluppo promosso dalla UE?

Verso un avvenire rivoluzionario

La Toscana non è che in piccolo pezzo dell'Occidente. Ma le tendenze globali trascineranno tutti. Il mondo ricco e potente delle metropoli industriali e finanziarie è chiamato a risposte innovative, neppure sottintese nel pensiero politico dominante. La sensazione è che negli ultimi anni siamo stati meno capaci di leggere il presente. Se ora niente sarà più come prima, forse ci troviamo di fronte a un’«occasione storica», a condizione che si inneschi una «rivolta morale», una «rivoluzione etica». Da decenni viene documentato che si è oltre il livello di guardia. Nonostante ci siano state spiegate, con ampia messe di argomenti, le responsabilità dei sistemi economici contemporanei rispetto alla natura e alle specie viventi. Finalmente siamo costretti a meditare le mosse da compiere, per non ripetere le stoltezze di chi per troppo tempo si è creduto invulnerabile.

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