Nico-Arthur, tre punti d'oro aspettando il Napoli
"E ora sfatiamo il venerdì 17". Ci ha preso gusto, il mio amico al fontanello con il toscanello, a suggerirmi gli incipit. Ma anche questa volta ha ragione. Perché in fondo è vero: la testa di tutti è ad Atene, ci si andrebbe perfino in canotto a remi, qualcuno ha pensato addirittura al monopattino, ovviamente elettrico tanto le ricariche strada facendo si sbafano eccome, la seconda finale di Conference – “coppetta”, la chiamano gli invidiosi che anche quest’anno se la sognano – ripaga da una stagione, anzi meglio da un girone di ritorno che mettendo i pesi sulla bilancia, siamo sinceri, non è da grandi soddisfazioni. E quindi davvero “Tutti ad Atene”, come urla lo striscione che a fine pratica-Monza compare per magia in Fiesole, e la Curva che merita anche stavolta la maiuscola chiama tutti i ragazzi in maglia viola lì sotto per sommergerli in un fragoroso abbraccio di applausi, oddio, non è che questi 96 minuti totali siano stati da antologia del calcio ma questo abbraccio è il calore immenso di cui i giovanotti dovranno vestirsi d’ora in avanti.
A cominciare, appunto, da venerdì 17. Perché battere il Napoli con lo “scuorno” aggravante dell’esecrata data portaiella significherebbe un ottavo posto matematico con non impossibile rincorsa al settimo, i finalini thriller possono portare anche gioie inattese, vero è che il Cagliari del nostro Grande Amico Ranieri ha fame di salvezza, e l’Atalanta del nostro “grande amico” Gasp sta dando lezioni a destra e a sinistra, ma hai visto mai, e meglio sarebbe se a Bergamo si andasse in campo con tutte le sentenze già scritte. E dunque riqualificazione quasi automatica in Conference, e poi chissà, anche sperare in qualcosina in più. Che sarebbe meglio, certo, portare via direttamente dalla notte greca contro i “ragazzi del Pireo” (io sono anziano, e la canzone di Melina Mercouri mi batte sempre in testa…).
Intanto, comunque, c’era di mezzo la pratica-Monza. Iniziata con un groppo di magone che non si vorrebbe mai vivere, e invece: minuto di silenzio raccolto, e per fortuna non disturbato, in onore dei morti di Casteldaccia. Ennesima strage sul lavoro, ennesimo coro di “mai più”, ma solo fino alla prossima occasione, perché tanto questo paese per certi aspetti pare ormai senza speranza. Silenzio assorto, pronti-via e dopo una manciata di minuti è già temporale.
Perché un sempre più sbiadito Milenkovic-Malinkonic offre sereno lasciapassare a Dani Mota, crossetto preciso, si avventa il gigante Djuric assolutamente perso (anche per differenze di stazza, ma non si può e non si deve) da un distratto Quarta, zuccata delle sue – è un vero specialista, anche per stazza – ed è già svantaggio. Sotto gli occhi di Giovanni Sartori, chissà che ci faceva in tribuna, chissà quanti hanno rivolto al Cielo una prece o un’imprecazione, dipende dai gusti.
Balzi e urli di un’ottantina di brianzoli nello specchio, anche perché la Fiorentina cincischia e fatica a riassestarsi, il gioco langue macchinoso e farraginoso, Arthur ha piede di rosolio, dolce dolce, quando la becca – perché lo braccano sempre in due – il passaggio non supera i tre-quattro metri. Orizzontali.
Davanti c’è un Monza attento e geometrico, che approfitta delle voragini sugli esterni e di qualche prateria intorno al cerchione di mezzo campo. Squadretta caruccia, allenata da un ragazzetto caruccio e rampantino, con qualche bel talentino di scuola – sì ma stavolta Colpani e Pessina non han brillato più di tanto, anzi si sono anche mangiati un invitino ghiotto ghiotto a testa – ma insomma non tantissimo altro, la classifica lo prova, gli ottanta (o forse meno) al seguito anche. Realtà simpatica, capoluogo di provincia, 125mila abitanti per dire terzo comune della Lombardia, squadra di proprietà della famiglia Berlusconi, Paolo B. presidente onorario, vicepresidente Galliani, e qua un pochino la simpatia scema, mi consénta.
E dunque la solita fatica. Che poi, fatica: la Viola di gioco, benché compassato e appunto macchinoso in realtà ne macina tanto, e le occasioni fioccherebbero. Ma non si segna. A Nzola, preferito ancora una volta a Belotti, palloni ne capiterebbero, però. Sempre “però”, poco da fare. O si incarta davanti a Di Gregorio, o gli conclude addosso, o si pianta su suggerimenti golosi, o resta nascosto in mezzo all’area dietro ai difensori quando la palla arriva dalla linea di fondo.
Si danna, certo, l’angolano: ma, tipo, salta anche poco sulla pennellata di Barak verso il centro area, per fortuna là dietro c’è Nico Gonzalez con lo specchio aperto, bella zuccata e pareggio, e per lui sono dieci. Meritato, meritatissimo: La Viola ci aveva provato con Castrovilli – non una gran prova, da esterno a sinistra – con un bel controllo e botta al volo murata, con lo stesso Nico in conclusioni però di scarso pericolo o incaponite oltre il lecito, tipo quella addosso a Di Gregorio alla fine di una bella galoppata dopo che Terracciano aveva appena fatto un miracolo su Zerbin, brutto ricordo, il giovanottino, in Supercoppa (allora era tinto di Napoli, però).
E ci aveva provato anche Mandragora, una volta murato eroicamente da Di Gregorio su botta da un passo e mezzo, un’altra volta lì lì per arrivarci su doppia sponda di testa tra Nico e Barak.
Siamo già nella ripresa, la Viola pare più determinata, Parisi lavora ottimi palloni mentre l’arbitro Zufferli, alla quarta in A, continua a dimostrare quanto sia difficile quel mestiere lì, tra fischi assurdi e incomprensibili e falli a ripetizione mai sanzionati, il ragazzo magari forse si farà ma ha da vedere ancora tanti film su quelli grandi. E comunque il momento è topico, il piede di rosolio si inzuppa nel curaro, a risolverla ci pensa Arthur con un velenoso angolato missile terra-terra in diagonale a completare una giocata da campione vero. Due a uno e palla al centro, il Monza ci prova ma tutto si risolve nella goffa testata di Pessina nel recupero.
E ora sfatiamo il venerdì 17, appunto. Con un sorriso appagante. Ce lo regala una ragazzina, una dei bambini schierati con le squadre nell’ingresso in campo. Una telecamera la riprende da vicino, un ghigno e un chiaro “Juve merda”. Sarà vera, la ripresa? Sarà intelligenza artificiale? Comunque sia, pensiero condiviso.
I gol:
9’: Dani Mota ben lanciato sulla fascia va via a Milenkovic e scodella in mezzo, testa di Djuric e rete
32’: azione insistita della Fiorentina, la palla esce dall’area e va a Quarta che sulla fascia offre a Barak, cross delizioso, Nzola salta a vuoto, appostato dietro c’è Gonzalez che di testa mette in porta
78’: a centrocampo Barak appoggia ad Arthur che si gira su stesso lasciando lì due avversari, poi va in percussione, e dal limite spara un insidioso diagonale nell’angolo basso alla destra di Di Gregorio
Fiorentina (4-2-3-1): Terracciano; Kayode (80’ Faraoni), Milenkovic, Quarta; Parisi (80’ Biraghi); Arthur (80’ Duncan), Mandragora; Nico Gonzalez, Barak, Castrovilli (74’ Beltran); Nzola (61’ Kouamé). All. Italiano
Monza (4-2-3-1): Di Gregorio; Birindelli (64’ Pereira), Izzo, Pablo Marì (73’ D’Ambrosio), Kyriakopoulos (46’ Caldirola); Pessina, Bondo; Zerbin, Dany Mota (64’ Akpa Akpro), Colpani (82’ Carboni); Djuric. All. Palladino
Marcatori: 9’ Djuric, 32’ Nico Gonzalez, 78’ Arthur
Arbitro: Zufferli di Udine; assistenti Passeri-Votta, quarto ufficiale Rutella; Var Maggioni-Marini Note: ammoniti: 41’ Parisi, 69’ Bondo; angoli 6-1 Fiorentina; spettatori 24.376