Infermieri, collasso generazionale? I giovani evitano questo lavoro
ROMA, 15 SETTEMBRE 2025 - Arrivano i nuovi numeri dell’emergenza infermieristica, che raccontano la drammatica disaffezione dei giovani verso la professione: parlano chiaro e sono addirittura peggiorativi rispetto a quelli precedenti iniziali del Mur: nel 2025 le domande ai corsi di laurea di primo livello sono state 18.790 (a fronte di 20.409 posti) contro le 21.178 (a fronte di 20.435 posti) del 2024, con un calo secco di 2.388 iscrizioni, pari a al meno -11,3%.
È la prima volta che il rapporto domande/posti scende sotto l’unità (0,9 contro 1,0 del 2024).
«Questo dato di per sé sarebbe già gravissimo» – dichiara Antonio De Palma, Presidente del Nursing Up – «ma il nostro studio mostra che la realtà è ben peggiore. Perché ai numeri iniziali vanno sottratte due tipologie di defezioni, che ogni anno colpiscono il percorso degli studenti:
- tra il 9% e il 14% di chi si iscrive non si presenta nemmeno al test.
- un ulteriore 20% abbandona il percorso di Laurea "in itinere".
La sintesi del Nursing Up è lapidaria: su 100 giovani che fanno domanda, quelli che arriveranno alla Laurea dovrebbero essere circa 66, ma una buona parte di loro sceglierà di non lavorare presso il SSN. Questo significa avere una “grande e pesante ipoteca” sul futuro, significa reparti senza infermieri.
"E la tragica conseguenza di tutto questo è il crollo della qualità dell'assistenza, a cui la politica pensa di rimediare con figure surrogate e inadatte come quella dell’assistente infermiere o con eserciti di infermieri stranieri, che non conoscono la lingua e che saranno investiti delle responsabilità professionali dopo poche settimane di corso di italiano, come già accaduto».
L'indagine del Nursing Up trae le mosse dai recentissimi dati raccolti dall'autorevole report del Prof. Angelo Mastrillo (Docente in Organizzazione delle professioni sanitarie all’Università di Bologna), che una volta elaborati e confrontati dal Nursing Up, confermano tristemente le rilevazioni degli atenei di Verona, Firenze, Torino e Trento dal 2022 a oggi: lo scarto iniziale tra domande e presenti effettivi ai test si attesta in media tra il 10% e il 12%. Siamo di fronte ad una evidenza che, una volta applicata al dato nazionale anno 2025, comporta che l'aspettativa di partecipazione ai test, da parte dei candidati, è al massimo 16.200-17.100 unità. Se a questa cifra togliamo gli abbandoni attesi, che abbiamo sopra evidenziato tenendo conto dello storico, i laureati effettivi, tra 3 anni, dovrebbero raggiungere a malapena le 13-14mila unità.
Troppo pochi. Perché il fabbisogno reale è ben diverso!
UN “COLLASSO GENERAZIONALE” ANNUNCIATO
Ma vi è di più, perché tra il 2026 e il 2030 andranno in pensione oltre 66mila infermieri. Già oggi sono 20.379 quelli che hanno 66 anni (dati ufficiali Ragioneria dello Stato 2023) e che lasceranno il servizio entro un anno.
Altri 46.054 invece, che hanno tra i 61 e i 65 anni , saranno fuori dal SSN, nella migliore delle ipotesi, entro il 2029, ma vi è da sottolineare che, tra questi ultimi, la maggioranza delle colleghe infermiere vanta una lunga anzianità di servizio, e questo aggrava la situazione del SSN, perché parliamo di più del 50% di operatrici che raggiungerà i requisiti per la pensione di anzianità ben prima dell'età prevista per la pensione di vecchiaia, con la conseguenza che ulteriori 23mila professionisti potrebbero scegliere di lasciare il servizio entro i prossimi 2 anni, sommandosi alle 20379 uscite già previste i pensionamenti di vecchiaia".
Insomma, parliamo di più di 43mila infermieri che si preparano a fare le valigie ed a lasciare il nostro SSN.
«A questo punto l'equazione è semplice» – continua De Palma –. «Il numero di nuovi laureati attesi è di circa 13-14mila l’anno, quindi, nell'intero periodo 2026/30, si laureeranno poco più di 52-56 mila nuovi infermieri, dei quali, tuttavia, prendendo come riferimento i dati Alma Laurea 2022, ad un anno dalla laurea solo il 59,1% troverà occupazione nel pubblico, il 38,6% nel privato e il 2,3% nel non profit..
Alla fine dei conti, dovrebbero lavorare come dipendenti del pubblico, e quindi di Ospedali, ambulatori, case di comunità e territorio in generale, circa 31-33mila unità, numeri che in nessun modo appaiono in grado di compensare i 66.433 che nel frattempo avranno lasciato il servizio.
E non abbiamo incluso chi sceglierà di lasciare l'Italia, a causa dei bassi stipendi!
Volendo ora rapportare, a mero scopo didattico, i valori al singolo anno, è possibile immaginare che, tra il 2026 e il 2030, per ogni singolo anno, una media di quasi 17mila infermieri lasceranno l'SSN, mentre si laureeranno poco più di 13/14 mila unità, ma di questi, ad un anno dalla laurea, è possibile preventivare che solo tra le 7.300 e le 8.500 unità dovrebbero restare nel servizio pubblico, a fronte di un'esigenza completamente sproporzionata e crescente, sia di tipo ospedaliero che territoriale.
Praticamente stiamo assistendo al collasso dell'equilibrio generazionale!
In questo modo la voragine già stimata in 175mila infermieri mancanti (rispetto ai parametri europei) si allargherà inevitabilmente.
Infine l’appello: «Se non si interviene subito – conclude De Palma – l’Italia resterà senza il cuore pulsante del suo sistema sanitario. Non servono slogan, servono fatti, ma soprattutto non servono scelte pasticciate come quella dell’assistente infermiere (contro cui abbiamo presentato ricorso al Tar) ed è davvero controproducente minimizzare e starsene con le mani in mano, soprattutto da parte di chi ci rappresenta.
Sono necessarie borse di studio aggiuntive, stipendi competitivi con l’Europa, condizioni di lavoro dignitose. Altrimenti i giovani continueranno a voltarsi dall’altra parte, e i cittadini si ritroveranno senza assistenza qualificata.
Possiamo costruire ospedali, aprire case di comunità, annunciare riforme: ma senza infermieri resteranno solo scatole vuote».