Indagini sulla morte di un detenuto a Prato

Redazione Nove da Firenze

Altro grave fatto nel carcere di Prato, dove un detenuto rumeno di 58 anni è stato trovato morto e si indaga per omicidio. E' di ieri il ritrovamento del corpo senza vita nella sezione isolamento del penitenziario pratese.

“Il sovraffollamento, come sostiene il Ministro Nordio, sarà pure una (discutibile) forma di controllo per ridurre i suicidi ma evidentemente non evita gli omicidi”. Così il segretario generale del Sindacato di Polizia Penitenziaria Aldo Di Giacomo “E’ la Procura che sta svolgendo le indagini che sottolinea come nell’istituto toscano esiste un preoccupante ricorso alla violenza da parte di gruppi di detenuti in pregiudizio di altri ed una estrema facilità di movimento di chi è ristretto, che si estendono anche alla sezione di isolamento dove si trovava il detenuto rumeno deceduto.

Noi lo ripetiamo da troppo tempo: nelle carceri ci sono organizzazioni criminali che spadroneggiano, dal mercato della droga e dei telefonini sino al controllo della vita dei detenuti più deboli e alla violenza sessuale. Una situazione fuori dal controllo dello Stato. È il sistema Delmastro basato sul tutto va bene – aggiunge il segretario S.PP. – che non funziona come provano i 4 omicidi accertati negli ultimi due anni, i 41 suicidi e oltre 30 decessi per cause da accertare.

Ancora: sono già più di 4 mila gli agenti penitenziari che sono stati costretti a ricorrere a cure dei medici per le aggressioni ormai quotidiane in un’estate caldissima con le alte temperature che amplificano il malessere dei detenuti. Una situazione che ci allarma tanto più in assenza di provvedimenti di intervento. Anzi – aggiunge – quelli assunti vanno proprio nella direzione contraria a quella che, come sindacato di polizia penitenziaria, abbiamo indicato da tempo.

Oltre alla non consapevolezza della politica sull’emergenza carcere, quello che continua a mancare – evidenzia Di Giacomo – è un piano complessivo di intervento per affrontare in maniera organica i problemi cronici di sovraffollamento, carenza organici, suicidi e morti per altre cause di detenuti, oltre che aggressioni e violenze al personale, rivolte, traffico di droga, diffusione di telefonini. Per noi – dice il segretario S.PP. – le misure da mettere in campo sono decisamente più complesse rispetto all’attuale situazione che vede lo Stato soccombere perché nelle carceri comandano sempre loro”.

“Ripetiamo: non siamo più disponibili a fronteggiare l’estate caldissima e siamo stanchi – conclude – di pagare il pezzo più alto con il rischio di incolumità personale di responsabilità politiche e di Governo”.

“La morte di un detenuto nel carcere della Dogaia a Prato segna un altro punto di non ritorno. Ma la verità è che il limite della sopportabilità è stato ampiamente superato ben prima di oggi. Chi conosce la realtà penitenziaria toscana sa che da tempo, troppo tempo, molte strutture sono al collasso” A dirlo è Elena Pampana, presidente di Acli Toscana “Sulle cause della morte farà chiarezza la magistratura – dice Pampana – ma ciò che è certo è che questa ennesima tragedia avviene in un contesto segnato da sovraffollamento, carenza di personale, ingresso incontrollato di oggetti e sostanze proibite.

Il carcere dovrebbe rieducare e reinserire nel mondo, ma in queste condizioni è solo una fabbrica di disperazione. E chi oggi pensa che si tratti di un problema che riguarda solo chi ha sbagliato, sbaglia due volte: perché il carcere è lo specchio della qualità della democrazia del nostro Paese”.Acli Toscana lancia un appello per un cambiamento profondo: “Non si può più intervenire solo sull’onda dell’emergenza. Servono investimenti, personale, attenzione – conclude Pampana - ma soprattutto un nuovo patto tra istituzioni, associazionismo, comunità locali.

Il carcere non si riforma da solo. Serve costruire legami tra dentro e fuori, tra la pena e il reinserimento, tra legalità e dignità. Serve una visione, serve coraggio. Acli Toscana è pronta a fare la propria parte”.