Digiuno per Gaza giovedì 28 agosto, come si partecipa

Redazione Nove da Firenze

La CGIL Toscana aderisce alla Giornata Nazionale di Digiuno per Gaza, promossa per giovedì 28 agosto 2025, un’iniziativa (lanciata dagli operatori e dalle operatrici del servizio sanitario della rete #digiunogaza, con l’adesione della rete “Sanitari per Gaza” e della campagna BDS “TEVA? No grazie”) che vuole richiamare con forza l’attenzione dell’opinione pubblica, delle istituzioni e della comunità internazionale sulla gravissima situazione umanitaria che la popolazione di Gaza sta vivendo.

"Con questo gesto simbolico, intendiamo esprimere solidarietà alle donne, agli uomini e ai bambini vittime di violenze, privazioni e bombardamenti, ribadendo al tempo stesso l’urgenza di un cessate il fuoco immediato e duraturo, il rispetto del diritto internazionale e la necessità di aprire corridoi umanitari per garantire aiuti, cure e protezione ai civili.

Il digiuno rappresenta un atto di coscienza civile e di denuncia, un modo per non rimanere indifferenti davanti alla tragedia che continua a colpire Gaza e per sostenere tutte le iniziative di pace, giustizia e riconciliazione tra i popoli".

La CGIL Toscana invita iscritti, delegate e delegati, cittadine e cittadini a partecipare e a unirsi a questa mobilitazione collettiva, "per far sentire ancora più forte la voce di chi chiede pace, diritti e dignità per tutti" . Anche la Fp Cgil nazionale ha annunciato la sua adesione alla giornata del 28 agosto.

COME SI PARTECIPA

Chi aderisce al Digiuno è invitato a fotografarsi (simbolicamente all’ora di pranzo del 28 agosto) con il cartello “Io digiuno contro il genocidio a Gaza” e a condividere la foto sui propri social (meglio se con l’hashtag #digiunogaza).

L’INTERVENTO DI PATRIZIA FISTESMAIRE, PSICOLOGA AUSL TOSCANA NORD OVEST

"Come psicologa, sento la necessità di ricordare che la guerra non distrugge solo i corpi: distrugge le menti e i legami sociali.In Palestina non parliamo di un singolo trauma, ma di un trauma cumulativo: un dolore che si rinnova ogni giorno, che mina la capacità stessa di immaginare un futuro.Uno studio recente condotto su 952 adulti sfollati a Gaza ha mostrato che l’ansia colpisce il 79 %, la depressione l’84,5 %, e il disturbo post-traumatico da stress il 67,8 % (Journal of Health, Population and Nutrition, 2024).

Tra gli studenti di medicina, oltre il 97 % soffre di sintomi depressivi almeno lievi e più del 63 % presenta PTSD (BMC Psychology, 2024).E nei più giovani la situazione è ancora più drammatica: secondo un’indagine dell’ONG Save the Children, pubblicata dal Guardian, il 96 % dei bambini di Gaza percepisce la morte come imminente, e quasi la metà ha espresso il desiderio di morire (The Guardian, 11 dicembre 2024).Ma c’è un aspetto importante: i palestinesi stessi ci dicono che non si sentono soli quando vedono manifestazioni, proteste, prese di parola.

Testimonianze raccolte da Al Jazeera e Middle East Eye sottolineano che sapere che il mondo guarda e non tace diventa una forma di sostegno psicologico,un balsamo dentro l’assedio. Per loro, la nostra voce è un frammento di respiro. Non dimentichiamo nemmeno i dissidenti israeliani: medici, psicologi, attivisti che continuano a denunciare, nonostante la repressione interna, perché sanno che il silenzio è complice. Anche questo è un segnale di speranza.Secondo il quotidiano Haaretz, quasi 50 soldati israeliani si sono suicidati dall’inizio della guerra diGaza (ottobre 2023) al luglio 2025: 17 nel 2023 (di cui sette dopo l’inizio della guerra), 24 nel 2024 e 17 nel 2025 finora.

In Israele, la dissidenza cresce: nei giorni scorsi, circa 500 000 persone sono scese in piazza a Tel Aviv per chiedere la fine della guerra e la liberazione degli ostaggi; un segnale potente di dissenso, anche da parte di cittadini che rifiutano la violenza come soluzione.Per noi, che guardiamo da lontano, il rischio è quello che in psicologia chiamiamo trauma vicario: l’impotenza di assistere senza poter agire. Per questo digiuni e proteste non sono solo simboli: sono strumenti di salute collettiva.Boicottare fa bene anche a noi: ci restituisce potere e coerenza.Chiedere al governo di fermare l’invio di armi significa scegliere la salute contro la distruzione.Questa protesta ha avuto anche un altro effetto importante: ha unito profondamente chi lavora nel Servizio Sanitario Nazionale.

Dopo la pandemia di Covid-19, che ci ha segnati come operatori e come cittadini, oggi ci troviamo di fronte a un genocidio. E noi, che di mestiere difendiamo la vita, ci siamo mobilitati dal basso, spontaneamente, obbedendo ai principi e alla missione stessa del nostro sistema sanitario: la cura universale, senza discriminazioni.Protestare come sanitari significa esercitare la cura anche fuori dagli ospedali, ricordando che dove non c’è giustizia non può esserci benessere.La salute psicologica e sociale è indivisibile: o la difendiamo per tutti, o la perdiamo per tutti.Questo digiuno è un modo per curare, testimoniare e per dare voce alla resistenza del popolo palestinese silenziata dal genocidio del governo israeliano".